La Guerra Fredda non fu soltanto uno scontro ideologico ma anche geopolitico. Se l’Urss si considerava avanguardia di una rivoluzione planetaria, gli Usa aspiravano a restare l’unico baluardo capace di difendere la libertà dell’Occidente. Andando indietro nel tempo, anche la Seconda Guerra Mondiale fu uno scontro prettamente ideologico, in cui si misurarono la liberal-democrazia, i totalitarismi, i fascismi, i movimenti di liberazione. Il 2018 non è paragonabile al 1939 e assomiglia ai decenni che precedettero l’altro conflitto globale: la Grande Guerra del 1914-1918. Le ideologie esacerbarono i conflitti del XX secolo ma non ne furono la causa; esse furono semmai uno strumento delle élites che si combatterono per dare vita ad un nuovo ordine mondiale.
La radice profonda dei mali del Novecento fu, in superficie, la guerra tra gli Stati iniziata con il declino dell’Impero Britannico, sicché nel 1939 il mondo arrivò a una nuova competizione, ancora più violenta. L’ordine mondiale di oggi si fonda su un equilibrio quasi uguale a quello del 1914: il potere imperiale dominante – gli Stati Uniti – è impegnato a conservare lo status quo, ma di fronte ad esso si ergono forze dispotiche ma non ancora egemoniche, come la Cina e la Turchia, che contestano la quota di sovranità e di ricchezza assegnata all’America dentro il perimetro del «Crony Capitalism» mondiale. Potenze regionali come la Russia e l’Unione Europea sono rispettivamente aggressiva e inefficace nel tentativo di rimediare alle proprie debolezze e ai propri limiti.
Il dibattito pubblico non è più imperniato su temi ideologici o politici, ma prevalentemente burocratici, amministrativi, al più umanitari: le tariffe, i dazi, la rinegoziazione di accordi di libero scambio, l’accoglienza di profughi, i sempiterni problemi che attanagliano il Medio Oriente. Le urgenze che riguardano il futuro, come la cibernetica, i cambiamenti climatici, il sovvertimento minskyano delle «regole del gioco» monetarie e finanziarie, non sono al centro del discorso collettivo. Scomparsa l’ideologia, la democrazia – come direbbe Conrad – è precipitata in un cono d’ombra, al punto che i decision makers temono le conseguenze delle proprie scelte o la predizione stessa di ciò che andranno a fare e successivamente addirittura a negare. Questa irrazionalità è la conseguenza di un’interruzione: il flusso di conoscenze e informazioni che collegava le élites alla democrazia rappresentativa è terminato, si è interrotto, e di rimando soprattutto l’Occidente è amministrato ma non è più governato.
Pensiamo all’Europa dopo il 1848, un periodo in cui le relazioni internazionali, ancora agli albori, erano legate all’interesse nazionale, non alla risoluzione delle diseguaglianze, che pure all’epoca erano fortissime. Le potenze nazionali rifiutavano il mondo per innescare i nazionalismi, mentre gli esseri umani desideravano l’ideologia, la scienza, la religione o comunque una diversa visione del loro presente. La Grande Guerra, per contro, fornì all’uomo comune una spiegazione del mondano, diede un senso logico alla carneficina. Il mondo di oggi, sebbene più articolato e interconnesso, corre lo stesso pericolo. Un futuro più prospero per sé o per i propri figli è arduo da immaginare per la gran parte delle persone comuni: la richiesta di ideologia continua dunque ad aumentare, ma proporzionalmente all’indebolimento di modelli di governo ormai desueti.
Un’ideologia diversa non sta ancora vincendo perché non è ancora emersa una dottrina in grado di catturare lo spirito della nostra epoca. Sarà l’impatto furioso degli esseri bionici ad accelerare la reazione ideologica degli esseri umani, accanto ad una «ripresa più che probabile del senso religioso» come prevede Gellner, generata in forme più organiche dalle grandi confessioni monoteiste. Una possibile trasformazione pacifica potrà avvenire solo coniugando concetti come democrazia, efficienza, rapidità, intorno a Stati, unioni di Stati e nuove Città-Stato.
Marco Rota
Consulente strategico e analista delle Relazioni Internazionali
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