Ustì nad Labem si trova nel nord della Repubblica Ceca, là dove s’incontrano i fiumi Elba e Bìlina. Un tempo importante polo industriale, oggi è un ghetto a cielo aperto. Un ammasso di macerie e rifiuti tra i quali giocano i bambini sono ormai diventati la casa di numerose famiglie rom. Il sito sorge vicino a un’ex fabbrica chimica che ha quasi cessato le attività.
Qui le scorie chimiche sotterrate e l’amianto abbandonato per le strade hanno moltiplicato i decessi per cancro della popolazione residente. L’aspettativa di vita è così crollata drasticamente, fino a vent’anni inferiore alla media nazionale. La disoccupazione è intorno al 90% e gran parte dei giovani usa abitualmente il crystal meth, una droga economica ma letale. Disperazione e mal nutrizione hanno fatto il resto per rendere questo luogo un incubo.
Dall’Italia, però, un team di professionisti italiani ha deciso di avviare un progetto di riqualificazione urbana, per risollevare un’area depressa e decaduta, rimediando al disastro ambientale e sociale.
«Oggi non c’è più niente, la crisi ha spazzato via tutto» racconta Miroslav Broz. Poco più che trentenne, alto, il viso scavato dalla fatica e dalla passione, è un volontario dell’associazione per i diritti umani Konexe. È lui a raccontarci che, con gli anni, i rom hanno progressivamente occupato le vecchie case abbandonate dagli operai. «Sono migliaia, non si conosce il numero esatto, qui nessuno ha mai fatto un censimento».
Entriamo nel ghetto verso le undici del mattino. I ragazzi stanno già uscendo da scuola. Per i rom, però, c’è una scuola segregata, lontano dagli altri. I loro curricula sono diversi dai cechi bianchi e per loro il programma scolastico prevede soltanto poche ore di lezione al giorno: molta musica e danza, pochissima scienza, matematica e letteratura. Perciò, alle undici le strade del ghetto sono già affollate di gente.
«Tutti i tentativi di migliorare la situazione sono falliti», continua Miroslav. «Unione Europea e governo ceco hanno speso milioni di euro, ma i soldi sono stati destinati prevalentemente alle strutture delle ONG e a programmi assistenzialistici che non hanno cambiato affatto le cose». Ciò che resta, appunto, è la devastazione.
La segregazione
Passeggiamo tra macerie, rifiuti, case sventrate, auto bruciate. Mentre i bambini giocano incuranti in mezzo alla spazzatura. Da quell’incrocio di povere strade ai margini della città, non entra e non esce nessun altro. Un ghetto è differente da un campo rom. Non ci sono baracche, né roulotte o tende. Non c’è l’impressione di una segregazione temporanea. La segregazione qui è fissata, definitiva. Con un passato, un presente e un cupo futuro.
Nel 1999, proprio a Ustì nad Labem le autorità cittadine costruirono un muro alto due metri e lungo sessantacinque, che doveva tenere ben separati i rom dal resto della popolazione, dopo che molti si erano lamentati col Comune per il rumore e gli odori sgradevoli che provenivano dal ghetto.
L’amministrazione cittadina spiegò che il muro doveva servire non soltanto per ragioni igieniche, ma anche per impedire ai bambini rom di avventurarsi tra i pericoli della città. Ci furono polemiche, tentativi di blocco dei lavori. Ma, alla fine, il muro fu comunque eretto. Qualche mese dopo, per le proteste della comunità internazionale, il Sindaco decise di abbatterlo. Ciò nonostante, la separazione è rimasta: non serve erigere un muro, il ghetto è già di per sé un luogo chiuso al mondo.
Il progetto di riqualificazione
È anche dall’indignazione per l’emarginazione inaccettabile che nasce l’idea tutta italiana del recupero di quest’area degradata. L’hanno chiamata “Call of Beauty”: una chiamata alla bellezza che gli architetti Davide Cerini e Joseph di Pasquale, affiancati dal “maestro” Ferruccio Mariani, presenteranno a Praga nel gennaio 2018.
“Call of Beauty” è dunque un progetto di riqualificazione urbana, che parte proprio dalla realtà di Ustì nad Labem ma che punta ad allargarsi. Anche perché non tutto è perduto: il ghetto ha una sua identità, la gente che vi abita ha una storia e una cultura che non impediranno un riavvicinamento sociale con la “città”, una volta ristrutturata la zona. Pensare solo a un intervento strutturale sarebbe infatti miope e riduttivo.
La riqualificazione italiana ricomprende anche aspetti sociali, culturali, sanitari, educativi. Il paesaggio è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita dei popoli. Ma dalla bonifica dell’area si dovrà poi passare all’inclusione sociale, al diritto all’istruzione qualificata, alla comprensione delle memorie culturali, attraverso la creazione di una serie di luoghi di condivisione e incontro.
I protagonisti del cambiamento
L’architetto Cerini, coordinatore per la sicurezza nelle costruzioni, ha particolari competenze in questo senso. Nei suoi molteplici progetti – opera sia in Italia che in Europa, USA, Turchia, Russia, Ucraina, Qatar, Svizzera, Paesi Bassi, India, Israele, Kuwait – compaiono spesso parole come lo sviluppo integrato dei processi di costruzione, finalizzato all’ottimizzazione delle fasi di lavoro e alla definizione dei dettagli costruttivi come il vetro strutturale e l’illuminazione. Dare cioè nuova luce a edifici che l’hanno temporaneamente perduta. Come project manager ha ideato sezioni di edifici, interiors e mobili in ambiente residenziale, commerciale e dell’hospitality. E Ustì nad Labem sarà la nuova sfida.
Insieme con l’amico e collega Joseph di Pasquale, che molti definiscono un “architectural storyteller”, è un cercatore di nuove chiavi di lettura per le città contemporanee. In luoghi depressi come questo ha intenzione di applicare concetti di architettura ibrida modulare, e sperimentare innovazioni del processo edilizio, in relazione ai profondi cambiamenti negli stili di vita e nelle abitudini abitative della società che i suoi progetti vanno a intercettare. Tra i suoi più celebri e riusciti spicca il Guangzhou Circle di Canton, in Cina, oggi sede della Hong Da Xing Ye Group, la borsa di interscambio di materiale plastico più grande del mondo, nonché uno degli edifici più importanti di Canton.
Ferruccio Mariani è chiamato “maestro” per il suo tocco nell’arte della decorazione. A Ustì nad Labem intende applicare i canoni e i valore dell’arte italiana per i quali è richiesto in tutto il mondo. Sua la firma su ville padronali, ambasciate, grand hotel, castelli e interventi a salvaguardia di Beni artistici e culturali
La “chiamata alla bellezza”
Lo studio e la realizzazione del progetto “Call of Beauty” nasce dunque dalla sinergia di esperti mondiali della riqualificazione urbanistica. Un concept che si rifà alla massima di Henri Focillon, storico dell’arte, incisore e poeta francese, secondo cui «La cieca agitazione sepolta dell’intelletto, è la migliore descrizione del tormento del mestiere di creare».
Questa e altre massime massime troveranno presto applicazione in Repubblica Ceca. Veder risorgere il ghetto potrà essere di stimolo a quanti, italiani ed europei, vogliono un ritorno alla bellezza di molte aree grigie del nostro continente dov’è confinata una parte invisibile della società. Torneremo presto là, per seguire il loro lavoro.
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