Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non più a questo mondo. Non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così. Nonostante questa prematura dipartita, la vita resta comunque un successo. Sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra”. Scrive così Lorenzo Orsetti nella lettera testamento che ciascun combattente dello Ypg prepara prima di partire per il fronte. Lorenzo, nome di battaglia Heval Tekoser, è stato ucciso in un’imboscata a Baghuz, in Siria, area ancora in mano alle forze di Daesh e dove le milizie arabo curde stanno affrontando le bandiere nere. Fiorentino, 33 anni, aveva lasciato tutto per unirsi ai curdi ed è caduto in un o scotro a fuoco nello sforzo di difendere l’ultimo lembo di terra ancora sotto il controllo dell’autoproclamato Stato Islamico, ad appena pochi chilometri dal confine iracheno. Lorenzo era un anarchico, combatteva per dare vita a una società più giusta e più equa. Credeva nell’emancipazione della donna, nella cooperazione sociale, nell’ecologia sociale e, naturalmente, nella democrazia, aveva raccontato lui stesso al Corriere Fiorentino. Per questi ideali non avrebbe esitato ad imbracciare le armi anche altrove, in altri contesti.
A Baghuz Lorenzo si era recato per portare a termine il suo lavoro. Afrin, nel nord della Siria, era stata invece per il combattente italiano il primo teatro di guerra. “Tekoser” Orsetti aveva preso parte anche alla battaglia di Hajin a fine novembre e su Facebook curava un diario degli scontri vissuti insieme ai compagni, come racconta Gianni Rosini sul Fatto Quotidiano:
Afrin, è stata questa la sua prima frontline, poche settimane prima che la Turchia invadesse la città di confine per cercare di soffocare sul nascere qualsiasi rivendicazione nazionalista da parte della popolazione a maggioranza curda. Afrin era stata la sua prima esperienza, quella che gli era rimasta nel cuore, soprattutto per le condizioni in cui la popolazione è costretta a vivere nei campi profughi. “È in corso un tentativo di sostituzione etnica”, aveva detto riferendosi alle operazioni turche nel nord della Siria, “ci sono state esecuzioni sommarie, violenze e stupri”. Poi aveva manifestato la sua preoccupazione per l’annuncio di un ritiro delle truppe americane dal nord siriano: “Speriamo che il mondo, ancora una volta, non si giri dall’altra parte”.
L’emergenza militare, però, si è spostata al confine orientale, nel governatorato di Deir ez-Zor, dove sopravvivono ancora piccole enclave delle bandiere nere asserragliate negli ultimi edifici sotto il loro controllo, protetti dalla popolazione usata come scudo umano contro l’avanzata delle Forze Democratiche Siriane (Sdf) e i bombardamenti occidentali. Baghuz è la loro ultima roccaforte e Orsetti aveva deciso di andare anche lì per finire il suo lavoro, per concludere questa “battaglia di civiltà” e partecipare alla definitiva liberazione del Paese dalla sciagura dell’autoproclamato Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, “un male assoluto”. “Un paio di volte sono quasi riusciti ad accerchiarci. Nel deserto hanno contrattaccato e travolto le nostre postazioni – aveva raccontato in una delle sue cronache social dal fronte – Quando iniziano a morirti i compagni accanto, soprattutto per le mine e i cecchini, non lo dimentichi. Adesso molti miliziani stranieri si arrendono, ma spesso si sono fatti saltare in aria quando non avevano vie di scampo”.
Sul suo profilo Facebook, il giovane fiorentino ha rivissuto anche la battaglia di Hajin. Giorni passati nascosti in piccole trincee, avvolti nella nebbia e costretti a respingere gli attacchi dei miliziani di Daesh, mentre i compagni di battaglia muoiono sotto i colpi dei cecchini o dei razzi anticarro. Le notti passate senza chiudere occhio per il timore di imboscate, la paura quando il suono dei proiettili annunciava nuove ore di scontri e il sollievo provato quando i terroristi non riuscivano a sfondare le linee ed erano costretti alla ritirata. Poi di nuovo lo scontro e il terrore che rende il respiro affannoso, in una fuga all’ultimo minuto con le bandiere nere alle calcagna. La tristezza, infine, per i video di propaganda di Isis con le teste mozzate di ragazzi e ragazze che fino a poche ore prima condividevano con Orsetti la sofferenza del fronte. Hajin, alla fine, è stata riconquistata e con i suoi compagni Orsetti si è diretto verso Baghuz, l’ultima roccaforte, l’ultimo sforzo per completare la liberazione nel governatorato di Deir-Ezzor. “Guardo i nostri – ha scritto il 28 febbraio – molti sono giovanissimi, appena freschi d’accademia. Alcuni ragazzi arabi sono truccati col mascara e portano strani ciuffi simili alla moda Emo di qualche anno fa; un altro indossa una maschera antigas e un’accetta gli spunta da dietro la schiena. C’è una certa estetica che ci accomuna tutti, ma ognuno indossa pezzi di uniforme diversi e kefiah dei più svariati colori. Sembriamo l’armata Brancaleone: siamo bellissimi!”
Redazione
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