Alexander Lukashenko che scende dall’elicottero con passo determinato, un Kalashnikov in mano e un gilet tattico da combattimento, con i porta-caricatori pieni. Era la sua risposta alle decine di migliaia di bielorussi scesi pacificamente in strada a protestare. Così ridicolo da sembrare Sacha Baron Coen che fa la parodia di Alexander Lukashenko. Invece era reale: l’immagine che rappresenta il nostro tempo.
Per oltre vent’anni abbiamo chiamato Lukashenko «l’ultimo dittatore europeo». Da tempo non è più l’unico: non nel vecchio continente e ancor meno nel mondo. Le gradazioni di despota, dal dichiarato al sottinteso, si moltiplicano come la pandemia del Covid.
Il destino del popolo bielorusso non è nelle mani del suo surreale dittatore ma in quelle del padre di tutti i despoti europei contemporanei e fra i primi nell’affollata classifica mondiale: Vladimir Putin, alla guida di un regime quasi-fascista che elimina fisicamente chi vi si oppone. E’ come Mussolini con Giacomo Matteotti, Piero Gobetti e le spedizioni con bastoni e olio di ricino (il regime di Mosca predilige l’agente nervino novichok alla pianta Ricinus communis). Non era necessariamente il duce che ordinava: l’obiettivo da colpire toccava ai sodali. Il suo compito era dettare la linea, negare e impedire inchieste giudiziarie sugli esecutori. Come Putin.
Ma torniamo al popolo bielorusso, il cui destino è segnato. Dopo qualche settimana di silenzio, Benito Putin ha spiegato in un’intervista alla sua tv come andranno le cose: lo scontro fra Lukashenko e i bielorussi è una questione interna. Ma se la protesta muta lo status quo geopolitico del paese (vedi Ucraina), allora le cose cambiano: la Russia interverrà. Non dovrebbero esserci problemi: i bielorussi non rivendicano l’adesione alla Ue o alla Nato. Ma il loro destino è comunque segnato perché chiedono libertà e democrazia. Ve la immaginate una Bielorussia nella quale si voti senza inganni, con un dibattito politico aperto, una stampa libera e un’economia senza oligarchi di regime, accanto alla Russia di Putin e parte della sua costellazione autocratica? Lui, Putin, che per la seconda volta di fila, ignorando le prove raccolte dalle intelligences americane, ha già incominciato a mestare nelle elezioni degli Stati Uniti? Lui che pretende di avere un presidente manovrabile a Washington, a otto ore di fuso orario da Mosca? Il solo sperare di essere a Minsk un po’ più liberi dei russi, è un’illusione.
Tanti altri sono gli esempi di dispotismo nel mondo. In Rwanda Paul Kagame ha fatto rapire e deportare Paul Rusesabagina che nel 1994 era il direttore dell’hotel Mille Collines di Kigali. Coraggiosamente aveva salvato la vita di centinaia di tutsi, ospitandoli per settimane. L’eroe del Mille Collines, al quale è stato dedicato il film “Hotel Rwanda”, ora è un cittadino belga ed era in viaggio negli Emirati. Ma questo non ha impedito al regime del principe ereditario Mohammed bin Zayed (anche lui in classifica), di consegnarlo ai rwandesi.
Pubblicato sul blog di Ugo Tramballi Slow News de Il Sole 24 Ore. CONTINUA A LEGGERE QUI
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