Suona l’ultima chiamata per Sanders, pioniere della politica moderna americana. Bernie è come un veterano dello sport che ogni volta viene acclamato dallo stadio alla sua entrata, strabiliando il pubblico per la costanza e volontà nel mettersi in gioco, nonostante l’età. Ma la gloriosa entrata in campo non corrisponde necessariamente a una performance altrettanto gloriosa del “giocatore”. Non sempre. Il cammino di Sanders sembra di nuovo fermarsi anticipatamente.
Come scrive il Washington Post, Bernie è una persona con i nervi saldi. Tuttavia, il 60% dei delegati è già stato assegnato, non lasciando a Sanders nessuna ipotesi realistica di vittoria. Ad oggi, Sanders si presenta con un gap di circa 300 delegati rispetto al concorrente Biden. Non si può escludere, però, dagli scenari futuri una nuova risalita di Sanders, specialmente con la pandemia in atto e le campagne elettorali sospese o posticipate. Biden, quarantasettesimo vice presidente americano si è recentemente aggiudicato Florida, Illinois e Arizona, diventando de facto il candidato scelto dai democratici per evitare il secondo mandato di Trump. La mancata dipartita del suo concorrente lascia Biden in una situazione di stallo: non può ancora permettersi di concentrarsi su Trump e sull’unificazione degli elettori democratici, dispersi fra le varie correnti, a causa della presenza di Bernie. Inoltre, la pandemia costringe Joe a rimanere bloccato, come tutti, a casa, e a non incontrarsi con i suoi possibili donatori, fondamentali in questo momento della campagna.
Joe Biden però è anche una delle principali cause della debacle di Sanders: di fatto, la sua rinascita al Super Tuesday ha segnato l’inversione di tendenza dei poll nazionali. Uscito praticamente illeso dal Kiev gate, Biden ha dimostrato di saper tenere testa a Trump e i suoi proverbiali attacchi mediatici, che avevano cercato di metterlo in cattiva luce in vista delle elezioni. Inoltre, ha preso le giuste distanze dall’impeachment, in maniera tale da non subire un forte contraccolpo elettorale per quello che è ritenuto un boomerang per gli stessi Democratici. Infine, Biden ha usurpato Sanders di una buona fetta di elettori, se contiamo le statistiche.
In questo caso, i meriti si dividono fra Biden e la nuova natura assunta dal partito democratico. Joe ha intrapreso delle politiche progressiste, più vicine ai giovani, quelli che in passato avevano tanto amato Sanders. Nonostante l’opinione pubblica americana sia ancora incerta sulle potenzialità del candidato, Joe ha saputo rimescolare le carte in gioco, avvicinandosi alle realtà multietniche e meno considerate negli USA, le stesse che diventarono lo zoccolo duro dell’amministrazione Obama. Biden ha deciso di ricominciare dalle politiche promosse da Obama. Inoltre, ha saputo mostrarsi flessibile, spostandosi più a sinistra di quanto i normali canoni Democratici prevedano. Basti pensare al suo piano fiscale, che prevede una maggiore tassazione della popolazione ricca. Una completa inversione di tendenza rispetto a Trump e alla sua tanto discussa GOP Tax, che mira a tutelare le corporates americane e i suoi proprietari. Come se non bastasse, il Partito Democratico si è riscoperto liberale, discostandosi sempre di più dal’etichetta di partito moderato degli ultimi 18 anni. Questo cambiamento di massa della visione politica danneggia Sanders, il quale rischia di perdere ulteriormente voti. D’altro canto, Biden non si è ancora piegato a richieste come il sistema sanitario universalistico e l’estinzione del debito di chi frequenta college e università, ma non è da escludere che si possa spingere a tanto nella seconda fase, quando dovrà chiamare a sé gli elettori under 30 per sconfiggere Trump.
Bernie, di per sé, ha avuto grosse perdite rispetto ai risultati raggiunti nel 2016. Basti considerare i numeri: in Iowa ha perso il 23,5% e in New Hampshire il 34,8%. Ancora più significativo è il risultato in Vermont, patria del candidato, dove ha perso il 35,4% dei voti rispetto alle precedenti elezioni, strappando a questo giro una maggioranza risicata del 50.7%.
Gli ostacoli di Sanders partono proprio dal suo elettorato, soprattutto quello più giovane che gli è valso da “cuscinetto” durante le elezioni del 2016. In generale, l’intero gruppo di elettori della precedente campagna sembra essersi sfaldato a causa della sua stessa poca genuinità, contando su: giovani, supporter anti-Clinton ed elettori occasionali mossi da promesse come il sistema sanitario universalistico. I giovani americani, d’altro canto, sembrano essere volubili nelle scelte politiche di presidenziali in presidenziali. Gli elettori tra i 17 e i 29 anni hanno drasticamente ridotto il loro share in almeno 11 stati. E’ vero, Sanders è riuscito a guadagnare giovani elettori in Iowa, perdendone però il 6% in New Hampshire, il 5% in Texas e il 4% in South Carolina, Alabama, North Carolina, Tennessee e Vermont.
Risultati sorprendenti per un candidato che ha sempre attirato la gioventù con proposte a favore dell’ambiente, della regolamentazione del mercato del lavoro, dell’uguaglianza di genere e di razza e, infine, dell’educazione gratuita. Nonostante tutto ciò, i giovani sembrano non credere più alle reiterate e continue promesse di crescita di Bernie. È anche probabile che una grossa fetta di giovani si ricollochi a favore di Biden, il quale ha saputo offrire proposte semi progressiste e meno radicali. La reale fattibilità del sistema universalistico sanitario pone dubbi sulla credibilità di Sanders. L’adozione del Medicare for all richiederebbe un cambio strutturale del sistema sanitario, che costituisce un quinto dell’economia degli Stati Uniti, in quanto ospedali, medici, case di cura e aziende farmaceutiche dovrebbero adeguarsi a un nuovo insieme di regole, mai sperimentate prima. Inoltre, l’adozione del Medicare for all graverebbe non poco sull’economia americana: il costo stimato è di 32.000 miliardi di dollari nel suo primo decennio, più del doppio di quanto previsto dall’attuale tassazione federale.
Infine, la narrativa di Sanders è in costante antagonismo con il modello economico capitalista, proponendo una nuova realtà welfare con qualche sfaccettatura socialista; un vero e proprio azzardo nella terra del turbocapitalismo. Bernie, infatti, mira a cambiare il sistema statunitense,anche con manovre che possono danneggiare le corporate americane, vero motore trainante dell’economia. L’altra faccia della medaglia ci potrebbe però raccontare che la popolazione americana non è ancora pronta ad un sostanziale cambio di passo, ad esempio nell’adozione di un nuovo modello economico, più sostenibile, che con responsabilità mostri la via alle economie straniere.
Se Sanders non sarà in grado di espandere la propria base elettorale in poco tempo, ipotesi davvero poco probabile, allora questa sarà l’ultima vera corsa. In questo caso, potrebbe aiutare la sua tempestività nello spostare i rally della campagna su piattaforma digitale, in seguito alla pandemia in corso. Comunque vada, però, lo sforzo politico di Sanders non sarà vano. Le sue ideologie e modalità politiche hanno lasciato il segno nei giovani, formando una nuova classe Dem più vicina alle sue visioni. In particolare, Alexandra Ocasio-Cortez figura come sua erede, non appena Bernie deciderà di ritirarsi dalla scena politica. L’unico passo possibile ora, seguendo gli schemi di partito, sarebbe il supporto alla corsa di Biden. Al momento, la possibilità non sembra tangere Bernie, il quale rimane fedele alla propria rigidità etica e morale, cara a molti, ma che, probabilmente, è proprio quella caratteristica che non gli ha permesso di espandere il proprio elettorato e rilanciare la corsa alla presidenza.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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