Il 20 luglio abbiamo celebrato i 50 anni dal mitico sbarco dell’uomo sulla Luna. Sabato 20 luglio 2019 l’astronauta italiano Luca Parmitano con due colleghi è partito a bordo della navicella spaziale Soyuz MS-13, montata sul razzo Soyuz FG, per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) nell’ambito della Missione Beyond. Il giorno dopo l’equipaggio ha raggiunti la destinazione. La rampa di lancio usata nel cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, è stata la stessa da cui il 12 aprile 1961 partì Jurij Gagarin, il primo uomo ad aver superato l’atmosfera terrestre. Il giorno del grande anniversario è stato ricordato ovunque sul pianeta Terra, cosa resta della retorica che animava il mondo nel 1969. La corsa al riarmo nucleare dentro e fuori l’atmosfera terrestre, era iniziata un decennio prima che Juri Gagarin uscisse e rientrasse dallo spazio. E non si è mai fermata.
Ora che abbiamo celebrato la grande suggestione lunare, la nuova frontiera raggiunta dall’umanità mezzo secolo fa, i messaggi di pace all’universo lasciati nel mare della Tranquillità, possiamo riportare lo sguardo sulla Terra. Non sarà un grande momento per noi quaggiù, ma di quella retorica positiva, a fin di bene, restano poche tracce.
Prima di pensare agli astronauti e all’esplorazione del cosmo infinito, americani e russi avevano costruito i razzi vettori per trasportare nello spazio testate atomiche. La corsa al riarmo nucleare dentro e fuori l’atmosfera terrestre, era iniziata un decennio prima che Juri Gagarin uscisse e rientrasse dallo spazio. E non si è mai fermata: non quando guardavamo con gli occhi sgranati l’Apollo 11 né dopo, quando abbiamo incominciato a dimenticare la Luna. E così, dopo decenni di alti e bassi, fra gelo e disgelo, diplomazia e minacce, ci stiamo avvicinando al peggio, a un mondo senza trattati sulla riduzione degli arsenali: all’anarchia nucleare.
Già nel 2002, senza capire con chi avrebbero avuto a che fare, gli americani avevano celebrato l’arrivo di Putin al potere a Mosca, decidendo di uscire dal trattato ABM (Anti-Balistic Missiles): era l’accordo che impediva alle due parti di avere missili che intercettassero missili nello spazio. Sembra un prodotto della burocrazia indiana prima delle riforme ma non è così: la materia nucleare militare è complessa ma razionale. Quell’accordo permetteva di mantenere la parità strategica e di preservare l’equilibrio del terrore fra le due superpotenze: ognuno sapeva che distruggere l’avversario avrebbe comportato anche la propria autodistruzione. Nessuno quindi doveva minare la potenza distruttiva dell’altro.
Barack Obama aveva cercato di ridare vita alla riduzione nucleare. Ma il primo febbraio di quest’anno Donald Trump è uscito dal trattato INF (Intermediate-range Nuclear Force). Il giorno dopo anche i russi. Qui lo spazio c’entra relativamente: riguarda i missili a medio raggio, fra 500 e 5.500 chilometri, ma la materia è la stessa. Gli americani dicono che i russi lo avevano violato (è vero), i russi dicono che era un pretesto per uscirne. Lontano dai giorni della fiducia, oggi Mosca è convinta che Washington stia barando e viceversa: entrambi con qualche solida ragione.
Come stabiliva il trattato firmato nel 1989 da Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan, denunciatolo, i due paesi avrebbero avuto sei mesi per cambiare idea. Non è stato fatto e dunque il 2 agosto, russi e americani non avranno restrizioni legali per riempire il mondo di nuovo missili, nuove rampe di lancio o qualsiasi altra arma gli scienziati abbiano in mente.
Non finisce qui. So di aver già rovinato ai più sensibili le ferie imminenti, ma ora si avvicina la data di scadenza di un altro fondamentale prodotto del disarmo nucleare: il Trattato sulla Riduzione delle Armi Strategiche (New START), firmato da Barack Obama e Dmitri Medvedev nel 2010. Le due potenze limitavano i missili strategici a lungo raggio a 1.550 testate e a non più di 700 rampe di lancio. Sono i vettori che escono dall’atmosfera e rientrano a migliaia di chilometri sull’obiettivo nemico. Senza una riconferma, il trattato scade fra 15 mesi. Non sembra che i firmatari siano nello stato d’animo di farlo.
Infine – è vero, scusate, è un post che avrei dovuto fare d’inverno, lontano dalle feste e quando c’è la nebbia, non nella luce promettente dell’estate – c’è il padre di tutti gli accordi sulla riduzione: il Trattato per la non-Proliferazione Nucleare (NPT). Le due potenze – è la logica dell’accordo – s’impegnano a ridurre nel tempo i loro arsenali; in cambio il resto del mondo rinuncia a programmi nucleari militari. Entrato in vigore nel 1970, deve essere rinnovato ogni cinque anni. Scade la prossima primavera. E, di nuovo, non sembra che l’atmosfera globale sia così promettente. La decisione unilaterale americana di uscire dall’accordo sul programma iraniano, non aiuta.
Neglii ultimi 40 anni di dialogo proficuo, le cose non erano andate male. Nel 1974 il potenziale distruttivo degli arsenali di Usa e Urss equivaleva a un milione 300mila bombe di Hiroshima; oggi “solo” a 80mila Hiroshima. “Less obscene if still horrendous”, è l’understatement del settimanale Economist.
La stabilità strategica sarebbe necessaria per tornare ai trattati e impedire proliferazioni. Ma Dmitri Trenin del Carnegie Moscow Center, sostiene che non è più possibile: “Il panorama geopolitico, tecnologico e psicologico che ha aiutato a prevenire la guerra fra le potenze nucleari, è cambiato significativamente. I concetti e le politiche che hanno funzionato per molti anni devono essere adattati al XXI secolo”.
Il primo vero cambiamento è che la solitudine russo-americana non esiste più. L’arsenale Usa è di 6.185 testate di diversa potenza, gittata, modalità di lancio, da prima linea o obsolete; quello russo di 6.500. E’ più del 92% delle atomiche nel mondo. Per quanto se ne sa, la Cina ne ha solo 300 ma raddoppia il suo arsenale ogni 10 anni e non ha nessuna intenzione di aderire agli accordi sulla riduzione degli armamenti. Neanche i francesi, 290 testate, la “Force de frappe”. Russi e americani stanno spendendo molto in tecnologie per rimodernare gli armamenti ma non per aumentarli.
Le tecnologie sono un altro cambiamento rispetto al vecchio quadro gelo-disgelo sovietico-russo-americano. Chiunque può accedervi, rendendo pericoloso anche un piccolo arsenale; aumenta il rischio dell’errore, che per esempio una guerra nucleare possa scoppiare per una cattiva interpretazione dei movimenti dell’avversario; crea bombe a bassa potenzialità, facendo credere che esista l’eventualità di un conflitto atomico limitato nello spazio, nel tempo e nella sua distruzione.
Sarebbe una tentazione fatale: una piccola bomba atomica in Medio Oriente, al confine fra Pakistan e India o nella penisola coreana innescherebbe un fuoco d’artificio globale. Nella festa senza controllo qualche razzo con la sua testata nucleare potrebbe cadere per errore anche sulla Luna. Ma a quel punto non avremmo più il tempo di osservarla e ripensare alle nostre speranze, quando Neil Amstrong vi aveva lasciato la sua impronta.
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