Presentato all’ultimo Festival di Berlino, Marighella è un ritratto intenso e “politicamente scorretto” dell’omonimo scrittore e rivoluzionario marxista, protagonista di numerose azioni armate contro la giunta militare brasiliana negli anni ’60. Per il regista Wagner Moura, però, esso è anche un attacco esplicito alle tendenze autoritarie del Presidente Bolsonaro, cosa che sembra avere provocato non pochi problemi alla pellicola.
Marighella, debutto cinematografico di Wagner Moura, fuori concorso all’ultima Berlinale, è un action movie politico e forse il suo limite è proprio questo. Nel tentativo tempestivo di suonare l’allarme sui rischi tutt’altro che astratti di una nuova deriva autoritaria che l’elezione a Presidente del Brasile di Jair Bolsonaro incorpora, Wagner Moura, al suo debutto dietro la macchina da presa, confeziona un film che resta in superficie nella contestualizzazione storica di eventi che hanno segnato drammaticamente la storia e l’identità del Paese.
Brasile 1964. Un colpo di stato spazza via il Governo legittimamente eletto di João Goulart, in procinto di nazionalizzare le compagnie petrolifere. Il 15 aprile del 1964 il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco diventa Presidente del Brasile.
La dittatura militare durerà ventuno anni, dal 1964 al 1985, con l’approvazione, e sotto la protezione, degli Stati Uniti, i veri artefici dei rivolgimenti politici sudamericani in quegli anni. Ben presto la resistenza alla oppressione militare diventa lotta armata. Con il volto e il cuore di Carlos Marighella, scrittore, politico, rivoluzionario marxista.
Il film di Moura è ambientato nei primi anni del regime militare, tra il 1964 e il 1968, e negli ultimi della vita di Marighella. Anni in cui in tutto il continente sudamericano, dall’Uruguay all’Argentina, dal Cile al Messico, dopo le “lotte rivoluzionarie” degli anni Cinquanta, dilaga la “minaccia comunista” e con essa le azioni di contrasto degli Stati Uniti per mano della CIA: golpe, dittature militari, epurazioni, torture.
Fig. 1 – Locandina di Marighella, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Berlino / Per gentile concessione di Geomovies
Nato a Bahia da madre afro-brasiliana e padre italiano, Carlos Marighella entra nella fila del Partito Comunista Brasiliano negli anni Trenta, per poi uscirne nel 1961 dando vita ad un movimento di guerriglia autonomo, l’”Azione di Liberazione Nazionale” (Acao Libertadora Nacional), organizzazione radicata tra movimenti studenteschi universitari impegnati nella radicalizzazione dell’opposizione alla dittatura attraverso la lotta armata.
Il suo Mini Manual of the Urban Guerrilla diventa il Vangelo dei giovani guerriglieri di tutto il Sudamerica.
Il film si apre a San Paolo con la prima di una lunga serie di scene d’azione. Una rapina ad un treno carico di armi. “Non vogliamo fare del male a nessuno” – rassicura Marighella – “Queste armi servono a liberare il popolo del Brasile”. Stanato in un cinema Marighella viene arrestato. Tornato in libertà si allontana dalla linea del partito, accusato di essere troppo prudente. Tra partito e guerriglia Marighella sceglie quest’ultima.
“La ragione per l’esistenza di un guerrigliero è di sparare”.
Lotta armata contro lo Stato, guerriglia urbana, rapimenti, uccisioni: lo schema nuovo dei movimenti di resistenza (Montoneros argentini, Tupamaros in Uruguay)
C’è molto di umano nel ritratto di Marighella. Quasi paterno il suo rapporto con i giovani compagni di lotta, amorevole con la moglie e con il piccolo Carlitos, messo al sicuro a Bahia Salvador, a cui lascerà, nella impossibilità di rivederlo, due nastri registrati come testamento personale e politico.
Marighella è stato un personaggio controverso, e non c’è dubbio che Wagner Moura nel raccontare gli ultimi 18 mesi di vita del combattente marxista abbia scelto uno stile agiografico: un instancabile eroe, un nobile combattente per la libertà dei brasiliani contro il neofascismo al potere.
Significative, a tal proposito, sono alcune scene finali quando Marighella, consapevole di non avere scampo, chiede ai più stretti compagni d’armi di fare un passo indietro, di tornare a casa, dalle proprie famiglie, alle loro vite, come se di tutta quella violenza lui non ne portasse la responsabilità politica e morale, come se si potesse convincere una dittatura a lasciare il suo “sporco lavoro” a metà.
Fig. 2 – Una scena di Marighella / Per gentile concessione di Geomovies
Gli ideali della lotta non arrivano alla gente, la censura del pensiero e delle azioni di Marighella è totale. Solo sul finale (del film e della sua vita) i guerriglieri, oramai decimati, occupano una stazione radio denunciando le torture in atto, e la stampa nazionale, grazie al vecchio amico Jorge, editore del giornale locale Tribuna do Sudeste pubblica (pagando con la vita il suo gesto), il manifesto del movimento, le cui contraddizioni interne emergono in molti dialoghi del film.
Non si può imputare unicamente alla censura, abilissima ad isolare la resistenza, la mancanza di sostegno da parte del popolo brasiliano. La gente non è convinta della necessità della rivolta, ed è questo il tema più scomodo che il film di Moura solleva chiamando in causa il presente, inquietante, del Brasile di oggi, “il peggior periodo dalla dittatura”, lo definisce il regista.
Il tessuto della società brasiliana strappato oltre cinquant’anni fa non è mai stato rammendato. Il Brasile ha semplicemente messo da parte il suo passato, lo ha masticato ma mai metabolizzato.
Per anni i militari hanno usato impunemente la violenza nella sua forma più autoritaria: la tortura.
Le atrocità della dittatura militare in Brasile, meno note ma non meno brutali dei Paesi vicini, non sono mai state oggetto di un dibattito pubblico né di un processo, giudiziario o storico che fosse.
I responsabili sono rimasti impuniti. Da Cardoso a Inacio Lula da Silva non c’è stata la volontà politica di guardare dentro il “ventennio” per creare una narrazione nazionale condivisa in grado di mettere il passato a riposo per sempre.
La legge sulla amnistia adottata nel 1979 ha barattato la liberazione degli oppositori politici con l’impunità dei responsabili dei crimini compiuti durante la dittatura. La ricerca del compromesso politico ha prevalso. Né Lula da Silva né Dilma Rouseff (lei stessa vittima di torture) l’hanno messa in discussione. Nessuno ha voluto contrariare i militari, per pragmatismo o per timore di risvegliare impulsi e inclinazioni mai sotterrate.
Il ritmo del film diventa più intenso man mano che il laccio intorno a Marighella si fa più stretto, all’indomani della esecuzione brutale di un diplomatico americano freddato davanti agli occhi del figlioletto, e del rapimento dell’ambasciatore americano Charles Elbrick (sarà rilasciato dopo tre giorni in cambio di quindici prigionieri politici).
Carlos Marighella diventa il nemico nazionale numero uno contro il quale si mobilita la polizia segreta e la CIA, impaziente quest’ultima di trasferire all’alleato metodi e uomini per sradicare il “terrorismo comunista”. Il Brasile, da parte sua, dimostra di essere all’altezza dell’aiuto americano.
“Non chiamatelo rivoluzionario, combattente, guerrigliero. Chiamatelo terrorista. Vuole la notorietà? Gliela daremo“, promette l’ispettore capo Lucio, spietato nell’ingaggiare una sadica caccia all’uomo ricorrendo al miglior armentario degli strumenti della repressione delle dittature militari sudamericane.
“Terrorista” “Assassino”. Manifesti con la faccia del guerrigliero afro-brasiliano diramati in tutto il Paese.
Carlos Marighella sfugge alla tortura. Il suo corpo viene trivellato di colpi all’interno di un’automobile. Non è armato quando viene accerchiato dagli uomini dell’ispettore Lucio. Eppure un’arma, nella ricostruzione di Moura, gli viene messa in mano.
Fig. 3 – Wagner Moura (al centro) e il cast del film alla presentazione di Berlino, 15 febbraio 2019
Un film d’azione, un biopic, Marighella è privo di quella scavatura politica che la complessità dell’argomento avrebbe richiesto.
Marighella celebra Marighella, mentre il suo pensiero politico, la metamorfosi da parlamentare nazionale a guerrigliero rivoluzionario, la sua strategia di lotta, i suoi scritti restano sfumati. Quasi un feticcio all’interno della teca della Storia.
Altrettanto inconfutabile è che il film di Moura è terribilmente tempestivo.
Bolsonaro, che come noto ha dichiarato in più occasioni, prima e dopo le elezioni, di apprezzare l’esperienza della dittatura militare e l’uso della tortura che ne fu corredo, ha duramente criticato il film. “Marighella era un terrorista e non un eroe”.
Wagner Moura racconta di aver avuto molte difficoltà a trovare fondi per finanziare il suo film all’interno dell’industria del cinema nazionale, e ancor più per la sua distribuzione in Brasile, dove non si sa se e quando uscirà nelle sale.
La censura, ora come allora, suona il campanello d’allarme.
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