Dal Mediterraneo provengono diverse minacce: terrorismo, fondamentalismo islamico, instabilità politica e flussi migratori. Il Mediterraneo è un punto nevralgico per i traffici marittimi. Inoltre, la presenza di importanti giacimenti di gas nella area compresa tra Egitto e Cipro lo trasformano in una calamita che attrae l’interesse di molti Paesi. Le principali flotte – francese, egiziana, turca – sono sempre più assertive. Il recente caso della nave Saipem, allontanata dall’area di esplorazione dalla flotta turca, dimostra che la partita da giocare è sempre più complessa. A indicare le criticità che gravitano attorno a quest’area altamente strategica per l’Italia è stato anche l’ultimo Libro Bianco della Difesa. Per approfondire il tema, Filippo Romeo e Alberto Cossu hanno intervistato per Oltrefrontiera News Mario Rino Me, Ammiraglio di Squadra, già Capo di Gabinetto presso la Presidenza del Comitato Militare della Nato e Presidente del Comitato Direttivo Iniziative 5+5 Difesa.
Dal momento che tali minacce originano da quello che viene definito il «Mediterraneo», potrebbe questa limitazione geografica e operativa incidere, nel lungo periodo, sulla capacità di garantire una efficace difesa e sicurezza nazionale?
Le minacce sono quelle che hanno l’intento e la volontà di arrecare dei danni, di fare del male; di contro, le sfide possono rivelarsi delle opportunità se ben governate. Pertanto è bene precisare che l’immigrazione non è una minaccia ma una sfida transnazionale. Il terrorismo indica un metodo, un modus operandi, e non bisogna confondere il modo con il fine: il fine è politico, il metodo è quello del terrorismo. Se si confonde il fine con la modalità si rischia di limitare la gamma degli strumenti. Infatti, non può esserci solo una risposta hard, militare, la militarizzazione della minaccia. Vi sono anche altri tipi di strumenti, come quelli culturali di cui si parla tanto. Per venire alla domanda, devo precisare che tra area mediterranea e Mediterraneo allargato non vi è differenza. La globalizzazione, l’interdipendenza, l’interconnessione ha allargato il perimetro mediterraneo al di la di quella che è la massa liquida marina. Il Mediterraneo possiamo intenderlo anche come concetto geopolitico e storico e come tale non è più solo il nostro Mediterraneo, che Lacoste chiama euroarabo, ma potrebbe essere il Mediterraneo euroafroasiatico, cioè dei punti in cui convergono delle masse continentali.
Di quali risorse, hard e soft, dispone l’Italia per tutelare i suoi interessi marittimi?
L’Italia ha una precisa collocazione dal punto di vista della politica delle alleanze essendo incastonata nell’Alleanza Atlantica e nell’Unione Europea. Il Mediterraneo, per come sosteneva Braudel, è un vecchio crocevia e come tale rappresenta una confluenza di masse intercontinentali, di culture e quindi di tensioni geopolitiche. I crocevia, come tali, diventano strategici quando si trovano in corrispondenza dei nodi, delle arterie del traffico e pertanto diventano oggetto di contesa dal momento che vi è sempre qualcuno che vorrebbe esercitarne un controllo e questo, di conseguenza, porta ad inevitabili conflitti. Vi è da aggiungere anche un altro particolare derivante dal fatto che l’ampliamento delle dimensioni poc’anzi menzionate porta ad avere un approccio con diversi Mediterranei a prescindere da quelli che sono gli approcci occidentali. Abbiamo, infatti, un Mediterraneo Atlantico, abbiamo un Mar Nero, un Mar Rosso, un Mar Caspio, una successione di mari come diceva sempre Braudel. Dal punto di vista giuridico, il Mediterraneo è un Mare semi chiuso, questo implica un altro fattore che è quello della sfida ambientale. Il Mediterraneo, infatti, è un ambiente delicatissimo che va salvaguardato. La Convention on the Mediterranean Sea sta portando il Mediterraneo ad una sorta di territorializzazione e, pertanto, non avrà più in futuro una connotazione di mare libero. Tale situazione porta a delle rivendicazioni di sovranità e se non si arriva a delle negoziazioni, a degli accordi, questo sarà un problema con cui fare i conti. La nave Saipem si è trovata in una contesa, per quanto riguarda l’estrazione e non per quanto riguarda il passaggio libero. Io, tuttavia, non leggo questa situazione come una minaccia, ma come una situazione che si può tranquillamente risolvere con una soluzione pacifica. Una cosa è certa: la territorializzazione del Mediterraneo sarà uno degli aspetti che ci riguarderà in futuro.
Gli USA dopo la fine della Guerra Fredda hanno declassato il bacino del Mediterraneo ad area di rilevanza convenzionale, mentre l’attenzione si è focalizzata sull’area Indo-Pacifico. Si accontentano di controllare i punti di accesso Suez e Gibilterra e di mantenere buoni rapporti con i rispettivi governi. Come dobbiamo leggere questa posizione statunitense?
Già ai tempi della Guerra Fredda il Mediterraneo era il fianco sud dell’alleanza e pertanto non rappresentava il fronte principale. Di fatto, già dall’Amministrazione Obama, è in corso un certo disimpegno statunitense. L’attuale filosofia degli Stati Uniti si basa sulla guerra a distanza e ciò comporta un maggiore impegno da parte delle forze locali per dirimere le proprie questioni, quindi una maggiore responsabilità Braudel diceva: l’Italia è l’asse meridiano del Mediterraneo ed è là che trova la sua ragione di vita. Sta a noi, quindi, assumere una responsabilità e una continuità. Ciò, per una potenza media come la nostra, significa non avere solo posizioni di rendita ma anche fare e quindi dare. Certamente la posizione statunitense offre un chiaro messaggio agli europei invitandoli a fare di più.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia per avere un futuro da protagonista?
Su certe attività farsi motore. È chiaro che certe attività occorre svolgerle in tandem con gli altri attori, anche se l’intervento in Libia ha rappresentato un tornante della storia che ha fatto naufragare il principio della “responsabilità di proteggere” per il quale ci si era battuti. La “responsabilità di proteggere” implica anche un altro principio che è la “responsabilità di ricostruire”, cosa che non è stata fatta. Su di noi è quindi ricaduta una responsabilità collettiva. La situazione libica è un chiaro esempio della crisi che sta vivendo il sistema internazionale che ormai tende quasi all’anarchia. La crisi in Libia, come la guerra in Siria, comportano un contesto molto effervescente, tuttavia l’interesse cinese per il Mediterraneo, che investe sulla direttrice delle infrastrutture, rappresenta un’opportunità per l’Italia e, in particolare, per i porti di Genova e Trieste.
Nel 2015 la Cina si è presentata nelle acque del Mediterraneo in una esercitazione congiunta con la flotta russa. A seguito degli interessi economici che legano la Cina all’Europa, dobbiamo attenderci una presenza più assidua della flotta cinese nel Mediterraneo?
Per garantire una presenza più assidua dovrebbero avere delle basi. La flotta russa quando era nel Mediterraneo aveva una base in Siria e un ancoraggio che era ad Hammamet. La Cina si trova fuori dal raggio di azione ed andrebbe ad agire in un contesto che esula dalla sua zona nella quale ha due archi insulari che la bloccano. Uno dei fattori principali del potere marittimo, oltre alle risorse, è la geografia che è di fondamentale importanza. La geografia ha favorito il Regno Unito rispetto alla Francia che era più grande e più ricca. Ciò nonostante, il fattore geografico, attraverso una politica di alleanze e la presenza nei punti nevralgici, ha giovato alla Royal Navy che aveva delle basi in prossimità delle zone di operazione. La presenza cinese ha uno scopo dimostrativo, che senz’altro ha la sua efficacia dal momento che la gestione delle crisi avviene anche con la presenza delle fregate che controllano. Ma è chiaro che ci sono dei limiti.
Il Mediterraneo unisce i paesi che vi si affacciano, ma causa anche frizioni perché entrano in contatto sistemi culturali, politici e economici differenti. Quale prospettive concrete può avere, allo stato attuale delle cose, un Unione Mediterranea come struttura capace di generare processi di cooperazione?
Il Mediterraneo non sarà più nostro. Nella cultura italiana degli anni trenta si è data molta attenzione al Mediterraneo. Mussolini parlò di Mediterraneo quale spazio di vita e l’Ammiraglio Cannitelli scrisse un testo molto bello sul Mediterraneo parlando già da allora di condominio. Oggi, essendoci il problema della territorialità che evidenziavo in apertura, bisogna tendere senz’altro ad instaurare un sistema di cooperazione che dovrebbe suonare come parola d’ordine. Di grosse iniziative in questo momento, che potremmo definire spumeggiante, non se ne parla. Penso, in particolare al Processo di Barcellona, e specialmente all’Unione del Mediterraneo, alla quale partecipai a Parigi su richiesta francese di assistere alla parte sicurezza.
Filippo Romeo, Analyst of Vision & Global Trends
Alberto Cossu, Analyst of Vision & Global Trends
Redazione
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