Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, attualmente al potere a Riad dopo che a suo padre Salman, il vero monarca, è stato diagnosticato l’Alzheimer, non ha mai studiato all’estero, ma appare come il più occidentalista tra i membri della sua famiglia. Nel 2015, quando muore il re Abdallah, l’erede diretto è il padre di Mohammed. Il giovane MBS diviene subito vice primo ministro e, ruolo più importante ancora, ministro della difesa. È allora che MBS comincia a dettare la sua linea: guerra in Yemen e una nettissima contrapposizione all’Iran. Per l’economia, il principe ereditario elabora il programma Vision 2030, attraverso cui spera di diminuire il tasso di disoccupazione dall’11,6% al 7%, aumentare il ruolo delle PMI nell’economia saudita al 35%, accrescere la quota di donne al lavoro fino al 30%. Inoltre, il principe intende arrivare a una piena sostituzione, con l’industria evoluta, di un’economia troppo dipendente dal petrolio, grazie ai capitali stranieri. Ma, soprattutto – si afferma nella Vision – intende privatizzare alcuni settori produttivi e vendere la Saudi Aramco, che gestisce il 10% del petrolio mondiale, al prezzo di 2 trilioni di dollari. Un valore che sembra irreale, oggi, per i mercati globali. MBS comincia a legare molto presto con Jared Kushner, genero di Trump e delegato del presidente USA per tutti gli affari mediorientali. È da questo momento che diventa l’uomo numero uno degli Stati Uniti in Arabia Saudita. Ossia quel Paese oltre Atlantico che, come dice Trump, «se non ci fosse, voi sauditi non rimarreste al potere per quindici giorni».
Sono proprio gli americani a sostenere la guerra nello Yemen contro i ribelli filosciiti Houthi e la successiva emarginazione del Qatar, l’emirato protettore della Fratellanza Musulmana e leader della produzione di gas naturale insieme all’Iran, nell’immenso South Pars II. Kushner e MBS avrebbero addirittura preparato insieme un piano per l’invasione del Qatar, ma Mohammed aspetta che il principe designato Bin Nayef si ritiri a vita privata. Cosa che avviene nel 2017. Inizia in quel momento, quando cioè MBS diviene ufficialmente principe erede al trono, la sua charm offensive in tutto l’Occidente. Così, da un lato viene propagandata la libertà delle donne saudite di prendere finalmente la patente, ma si evita di dire che occorre comunque l’autorizzazione del marito. Basta solo questo per vendere agli ingenui occidentali MBS come “riformatore”.
Dall’altro, nel novembre del 2017 il principe mette agli arresti sia l’ex-erede al trono Bin Nayef che undici principi, quattro ministri in carica e trenta ex-ministri. La retata di tutti gli oppositori, veri o presunti, viene fatta passare come operazione anticorruzione. Tra gli arrestati, rinchiusi al Ritz Carlton di Riad, vi sono anche il leader libanese Rafik Hariri e il principe finanziere, ben noto anche in Italia, Al Walid bin Talal. Tutti pagano a MBS una taglia salatissima per poter uscire dal doratissimo carcere. Ma se internamente i sauditi prendono il potere, la loro coalizione s’impantana sempre più in Yemen e Riad perde anche appoggi rilevanti per la guerra indiretta contro il Qatar: sia l’Egitto che l’Oman e la Turchia, Paesi “amici” di Riad, si rifiutano infatti di chiudere le relazioni politiche e commerciali con l’emirato di Doha.
Il che non giova alla guerra in Yemen, iniziata nel 2015 con la rivolta degli Houthi, setta zaydita fedele al quinto e ultimo imam, nel nord del Paese, l’antico imamato della setta sciita. Una tradizione di tipo sciita, antichissima, che non crede all’infallibilità degli Imam ed è vicina, dal punto di vista legale e coranico, all’Islam sunnita della scuola hanafita, la maggiore dell’area già appartenente all’impero ottomano. Gli Houthi, ovvero Ansar Allah, chiedono di non essere discriminati, vogliono evitare la colonizzazione religiosa sunnita-saudita, avere una maggiore autonomia (non l’indipendenza) nel nord dello Yemen. Non sono sciiti duodecimani come la maggioranza degli iraniani, e la differenza religiosa è tale che è rilevante, per Teheran, il loro ruolo politico e strategico. Gli USA hanno, però, nel frattempo hanno già compiuto 250 missioni aeree sullo Yemen, mentre l’Iran invia molte armi evolute ai ribelli, che prendono la capitale Sanaa nel gennaio 2015.
Finora, sono stati intercettati dai sauditi oltre 100 missili lanciati dagli zayditi, tutti di fabbricazione iraniana. Ovvio che Teheran voglia creare una pressione a sud del regno saudita e aprirsi un varco ver- so l’Africa e mettere inoltre in sicurezza la Siria e le sue linee interne di collegamento tra l’Iran e gli Hezbollah libanesi. Tutto questo è lo specchio di una guerra che, oltre a seminare morte e carestie, sta mostrando l’inefficacia della politica estera saudita. Anche se l’Iran non può vincerla, questo comunque viene considerato dagli ayatollah come un crudele “investimento” per frenare le mire di Riad. Perciò, se la guerra in Yemen dovesse prolungarsi e se il fronte anti-iraniano dovesse cedere, MBS non durerà a lungo sul trono.
Marco Giaconi
Laurea in Filosofia moderna e contemporanea presso l’Università di Pisa. Dal 1992 in è prima direttore e poi direttore di ricerca presso il Ce.Mi.S.S. (Centro Militare di Studi Strategici). Nel 2000 è Consigliere del Ministro della Difesa Antonio Martino. Dal 2003 in poi è Consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Autore di numerosi saggi.
Il dilemma israeliano, tra Hamas e Iran
26 Apr 2024
Esce in libreria il 10 maggio Ottobre Nero. Il dilemma israeliano da Hamas all'Iran scritto da Stefano Piazza, esperto…
Chi c’è dietro gli attacchi Houthi nel Mar Rosso
9 Feb 2024
«Gli Houthi, ovvero Ansar Allah, chiedono di non essere discriminati, vogliono evitare la colonizzazione religiosa…
Tutto quello che c’è da sapere sull’esercito iraniano
28 Gen 2024
Oltre 500mila soldati, organizzazioni paramilitari, missili, caccia, navi d’attacco e droni. Ecco come il governo…
La battaglia delle donne in Iran, Afghanistan e Usa
11 Dic 2023
«Cosa accomuna le proteste in Afghanistan, Iran e Stati Uniti? Semplice. La natura della discriminazione è sempre…