Due dati, per iniziare: i Taliban, gli “studenti” che furono addestrati dai Servizi pakistani, con l’aiuto degli occidentali e i finanziamenti sauditi, reclutati per far la guerra ai sovietici che avevano invaso l’Afghanistan, oggi controllano l’85% di tutte le vie della droga afghana, con 40.000 uomini assoldati e ben 224 milioni di dollari l’anno di guadagni. Mentre l’organizzazione Al Shaabab fa contrabbando di carbone e di altri minerali somali e nigeriani, con un reddito annuo di oltre 150 milioni di dollari.
Agadez, la città nigerina dalla quale passano le rotte dei migranti, è anche la storica capitale del crimine organizzato, che accoglie oltre 170.000 migranti ogni anno, con molti di questi, circa il 30%, che sono letteralmente rapiti dai mercanti. Appena fuori dai confini nigerini, c’è Al Shabaab a sud e Al Qaeda nel Maghreb Islamico a nord. In altri termini, assistiamo a una fusione tra Stati falliti e criminalità internazionale. E tra jihad e terrorismo con le organizzazioni criminali internazionali, che se ne servono e sono utilizzate, per la loro rete globale, dai terroristi, dai mercanti di uomini, dai trafficanti africani e asiatici.
Il meccanismo è semplice, soprattutto tra Niger e Libia: le aree non controllate del Sahara e del sistema subsahariano fanno passare, tra mercanti e tribù, la droga, i prodotti contraffatti, le materie prime e le armi per un reddito annuale di circa 80 milioni di dollari. Tutto questo arriva in Libia, presso i suoi porti.
La ribellione in Mali del 2010 è stata favorita, appunto, da questo flusso illegale di denaro e di combattenti, ma il vero business è quello delle migrazioni (libere o forzate che siano) che vale, lo dicono oggi i ricercatori dell’ONU, tra i 255 e i 323 milioni di dollari l’anno, e questo solo per la Libia. Dal punto di vista economico è “meglio della droga”, per ripetere la battuta di quell’inquisito di “Mafia Capitale”.
Gli affari illegali nell’area maghrebina e subsahariana sono ormai definiti e specializzati: c’è il traffico della droga colombiana che arriva in Guinea-Bissau, con un “valore di strada” di 1,25 miliardi di dollari/anno e di 150 milioni di guadagno netto per i trafficanti algerini, libici e del Sahel. La cocaina colombiana che viaggia nell’Africa dell’Est, a partire dalla Guinea-Bissau, vale 18-22 tonnellate l’anno. Si tratta di 150 milioni di dollari americani annuali appunto che vanno ai trafficanti residenti in Tunisia, Libia e Algeria. Altra droga arriva dal Messico (cartello di Sinaloa) e, passando sempre dall’Africa, arriva a Milano.
Mentre la cannabis parte dal Marocco, massimo produttore dell’area, va in Egitto e da lì nei Balcani, per poi essere venduta in Europa. In Libia il flusso dei guadagni da cannabis viene utilizzato per l’acquisto di armi. Si tratta di un affare da 100 milioni di dollari l’anno. Il contrabbando di armi, invece, vale 30 milioni di dollari l’anno, mentre le contraffazioni di prodotti edilizi, di farmaci e di strumenti genera altri 120 milioni di dollari l’anno. Le armi di contrabbando vanno soprattutto ai gruppi jihadisti in Libia, Ciad, Mali e Niger, mentre una quota di questo traffico va verso il Golfo Persico e l’Africa meridionale.
Per quel che riguarda il tabacco, è bene notare che il Maghreb “fuma” il 44% di tutte le sigarette africane. Il giro delle sigarette illegali vale 1 miliardo di dollari l’anno, ma il capo di questo traffico è ormai solo Mr. Marlboro, cioè Mukhtar Belmokhtar, già fondatore di Al Qaeda nel Maghreb Islamico ma che ha dato origine, per gestire questo traffico, alla sua autonoma rete jihadista, Al Murabitun, chiamata così in ricordo della dinastia almoravide tra l’XI e il XII secolo, che commercia anche in cocaina. Altra fonte di guadagno illegale sono i medicinali, asportati da magazzini e farmacie dai “ribelli” jihadisti libici e poi, in una fase di carenza di medicine, rimessi sul mercato a prezzi proibitivi.
Per le armi, si noti che le forze libiche, nel 2011, prima della caduta di Gheddafi, erano composte da 76.000 elementi e da altri 40.000 uomini della riserva. Le loro armi sono state la base per un proficuo commercio illegale. Il traffico delle armi vale oggi, nella sola Libia, 15-30 milioni di dollari, e solo per le armi leggere, munizioni comprese.
Per il traffico di migranti, le vie oggi utilizzate sono quelle tradizionali del contrabbando, dal Mali alla Libia attraverso il Sud dell’Algeria o l’altra, attraverso il Niger, da Agadez fino alla Libia e alle sue coste. I Tuareg e i Tebu, tribù soprattutto libiche, collaborano al passaggio organizzando autonomamente un massimo di 20mila migranti l’anno; e chi si butta in questa attività deve comunque firmare un “contratto” con i passeur delle varie tribù, oltre che con i clan del Mali, del Niger e del Ciad.
Insomma, ogni attività illegale è più ricca delle finanze pubbliche di ogni stato regionale, il che presuppone una economia di protezione di tipo mafioso in ogni zona, una economia che assorbe le istituzioni e genera altre “protezioni” a catena e, soprattutto, a pagamento.
I gruppi jihadisti-terroristi che operano nel Sahel, e che si prendono il pizzo dai tanti business illegali, sono il già citato Al Qaeda nel Maghreb Islamico, ancora forte in tutto il Sahel, mentre in Libia il gruppo più forte è la deriva di AQIM, Al Murabitun, mentre si stanno espandendo Ansar Eddine, Boko-Haram dalla Nigeria e Ansar al Sharia, che operano rispettivamente in Mali, nel Niger e nella stessa Libia. Tutti questi gruppi hanno ancora le loro principali basi di appoggio in Libia.
Naturalmente, il Daesh-ISIS, vista la floridezza dell’economia illegale in tutto il Maghreb, arriverà presto in zona, soprattutto dopo la sua (parziale) sconfitta in Siria. Lo spostamento verso il Nord Africa sta partendo dal Sinai, dove già opera quasi indisturbato, passando poi dall’Egitto meridionale e dalla vecchia rotta tribale che fa da confine tra Maghreb e area subsahariana, rotta ormai priva di ogni controllo. Se pensiamo che (a parte il Marocco) gli Stati maghrebini sono stati destabilizzati dalla follia americana delle “primavere arabe” e oggi nessuno tra Egitto, Tunisia, Algeria, riesce a controllare appieno il proprio territorio, possiamo capire che cosa potrebbe diventare quest’area di fronte all’Italia, con l’arrivo dell’apparato militare dello Stato Islamico.
Quindi, se si vuole ridurre il passaggio dei migranti in Africa e poi in Europa, occorre andare in forze nell’Africa subsahariana e ridurre i finanziamenti alle organizzazioni criminali, tracciandole con criteri bancari evoluti. Inoltre servirebbe colpire duramente e poi controllare le loro linee di traffico. Purtroppo so già che nessuno lo farà.
Marco Giaconi
Laurea in Filosofia moderna e contemporanea presso l’Università di Pisa. Dal 1992 in è prima direttore e poi direttore di ricerca presso il Ce.Mi.S.S. (Centro Militare di Studi Strategici). Nel 2000 è Consigliere del Ministro della Difesa Antonio Martino. Dal 2003 in poi è Consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Autore di numerosi saggi.
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