Il 21 giugno scorso, con una mossa a sorpresa, il re dell’Arabia Saudita Salman Bin Abdulaziz, ha nominato suo figlio Mohammed Bin Salman, già ministro della Difesa, quale “principe della corona” e dunque successore al trono.
Nonostante la giovane età, trentuno anni appena, Mohammed Bin Salman – noto anche come “MbS” – ricopre da anni incarichi di vertice. Come ministro della Difesa, ad esempio, dirige le operazioni militari nel vicino Yemen che da oltre due anni vedono le forze saudite in guerra contro i ribelli sciiti Houthi, apertamente sostenuti dall’Iran. La campagna yemenita si sta rivelando fallimentare per Riad e questo ha creato un crescente clima d’insicurezza nel Paese, cui si legano i timori per la sorte dell’Iraq e della Siria, dove Teheran desidera prendere il sopravvento.
La visita a Riad dello scorso maggio da parte del presidente USA Donald Trump è stata, in questo senso, molto significativa: da quell’incontro è scaturita non solo la rottura delle relazioni diplomatiche dei sauditi con il Qatar, accusato di favorire proprio l’Iran, ma anche un accordo monstre per una gigantesca fornitura da parte americana di materiale bellico e alta tecnologia per un valore di 110 miliardi di dollari. In cambio, re Salman ha promesso (e mantenuto) l’appoggio saudita agli USA nella guerra contro il Califfato e contro il terrorismo jihadista. Da quel momento, non a caso, le forze dello Stato Islamico si sono fatte via via sempre più deboli.
L’accordo con Washington
La decisione di nominare il trentunenne Mohammed Bin Salman va perciò inquadrata nel contesto degli accordi tra Riad e Washington e così pure il conseguente cambio di strategia saudita, innescato dalla non facile situazione geopolitica ed economica dell’Arabia Saudita, che non riesce ad affrancarsi dal vincolo dei petrodollari e teme l’espansionismo crescente del nemico iraniano, che va espandendosi in ogni direzione.
Mohammed Bin Salman è per i sudditi sauditi la garanzia che non si mollerà la presa sugli Houthi e, soprattutto, per Washington la garanzia che Riad continuerà ad avversare l’Iran: durante i colloqui preparatori per l’incontro con Donald Trump, “MbS” non aveva fatto mistero della sua ostilità nei confronti degli Ayatollah e della loro politica di sostegno a tutte le minoranze sciite nella regione del Golfo, e più in generale del Medio Oriente. Cosa che il principe ha confermato al presidente lo scorso marzo, quando ha visitato Washington. In quell’occasione Mohammed Bin Salman ha garantito a Trump che avrebbe fatto di tutto per «arginare le attività destabilizzanti dell’Iran nella regione». Solo dopo, il presidente Usa si è recato in Arabia Saudita e sono piovuti i rifornimenti bellici a Riad.
Il sogno economico del principe
Ma l’aspetto più importante che riguarda Mohammed Bin Salman è probabilmente nella sua visione economica. Il principe, oltre a essere molto popolare in Arabia Saudita per il suo sostegno ai diritti delle donne (fatto che ha aperto la strada alla guida per ambo i sessi, sinora proibita al genere femminile), è noto per l’ambizioso progetto di modernizzazione del Paese denominato “Saudi Vision 2030”. Esso punta a diversificare le risorse economiche saudite, affrancando il regno dalla dipendenza esclusiva dal petrolio. E il primo passo in questo senso sarà proprio la privatizzazione del gigante petrolifero di stato, Aramco.
“Saudi Vision 2030” punta a diversificare le risorse economiche saudite, affrancando il regno dalla dipendenza esclusiva dal petrolio. Il primo passo sarà la privatizzazione di Aramco
Una sintesi del pensiero di “MbS” è contenuta in un’intervista al settimanale inglese The Economist del 2016, nella quale il principe definiva la sua road map per la costruzione di una nuova Arabia. «Il paese in cui spero è un paese non dipendente dal petrolio, con un’economia dinamica e leggi trasparenti; un’Arabia Saudita con una forte posizione nel mondo, in grado di soddisfare i sogni di ogni suo cittadino; un’Arabia Saudita che garantisca la partecipazione di tutti i suoi cittadini al processo decisionale. Il mio sogno di giovane uomo saudita e quello di creare un Paese migliore».
La sua designazione da parte di re Salman, dunque, è un segnale importante: differentemente da tutti i suoi predecessori, Mohammed salirà al trono molto giovane, considerato che il monarca attuale ha superato gli ottant’anni. Questo fatto non solo rompe una consuetudine nel regno, ma segna il successo delle correnti più progressiste della politica saudita. E al tempo stesso indica anche una chiara vittoria del suo principale alleato e sponsor internazionale, ovvero il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
È innegabile, infatti, che la decisione del vecchio re di designare come successore “MbS” s’inquadri perfettamente nella strategia concordata con il presidente americano per creare un fronte arabo moderato, che non dispiaccia ai progressisti d’America e al tempo stesso non allarmi l’amico Israele. Così, Mohammed Bin Salman sa già che durante il suo mandato potrà sviluppare il suo progetto economico e proseguire nell’opera di arginare l’Iran degli Ayatollah contando sul pieno sostegno di Washington e sulla non ostilità di Gerusalemme.
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Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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