Arrestata il premio Nobel Aung San Suu Kyi e annullato il risultato elettorale in Myanmar. I dissidi Usa-Cina rischiano di creare una situazione esplosiva. Intervista al sinologo Francesco Sisci.
Arrestata il premio Nobel Aung San Suu Kyi insieme ad altri membri del governo, all’indomani del risultato elettorale che la dava vincitrice. È colpo di stato in Myanmar, anche se i generali escludono questa versione dei fatti: “Non stanno dicendo di aver vinto loro e che le elezioni siano state rubate” ci ha detto in questa intervista il sinologo Francesco Sisci, “ma che ci sono stati dei pasticci e dei brogli per cui le elezioni vanno cancellate, andranno rifatte fra un anno, periodo nel quale saranno loro a detenere il potere”. Se non è un colpo di stato, poco ci manca, anche perché, se i risultati elettorali vanno verificati, non ci vuole certo un anno e soprattutto non c’è bisogno di arrestare gli avversari politici. È stato definito uno stato di emergenza e per tutta la sua durata sarà l’ex generale Myint Swe il presidente in carica ad interim. Sempre secondo Sisci, “ci sono sospetti da parte occidentale che dietro a tutto questo ci sia Pechino e la situazione caotica del Sud-Est asiatico con il peggioramento dei rapporti tra Usa e Cina rende quanto accaduto una bomba potenzialmente esplosiva”.
Cosa sta succedendo in Myanmar? La dichiarazione su “enormi brogli elettorali” rende giustificabile quanto sta avvenendo?
C’è stato un colpo di stato in cui i militari, guidati dal generale Min Aung Hlaing hanno ripreso il potere ed escluso il Parlamento eletto. Decine di persone sono state arrestate e forse la stessa Aung San Suu Kyi è stata posta agli arresti domiciliari. Così si interrompe il processo di democratizzazione e pacificazione, ancor più grave perché in tutto il Sud-Est asiatico abbiamo una situazione delicata. Ad esempio in Thailandia, dove da mesi si registrano proteste e lotte politiche tra corte reale e militari. Quanto accaduto in Myanmar ha poi dei riflessi gravi anche in senso più ampio. Tra l’altro Min Aung Hlaing si dice figlioccio del generale thailandese Prem Tinsulanonda, personaggio controverso della politica del Sud-Est asiatico, sostenitore di più di un colpo di stato a Bangkok. Infine si parla a Bangkok di contatti fra Hlaing e russi. Una situazione molto confusa.
Che cosa sappiamo?
C’è un sospetto in ambienti occidentali che dietro al colpo di stato ci sia la Cina. Tale puro sospetto in un momento di grande tensione mondiale diventa estremamente delicato. La reazione ufficiale di Pechino è molto prudente, come da tradizione cinese, non prende posizione a favore dei generali e neanche degli altri. Si cerca una via mediana, i cinesi dicono che bisogna essere attenti: i generali hanno detto che terranno il potere per solo un anno e poi si tornerà alle urne perché, sostengono, ci sono stati brogli elettorali e occorre rivedere le procedure. Naturalmente non si sa cosa succederà. Ma la Cina può essere anch’essa in imbarazzo. In un momento così non le fa bene essere sospettata di sostenere un colpo di stato.
Sembrava che Suu Kyi avesse trovato una collaborazione con i generali, visto che durante le recenti persecuzioni e i massacri della minoranza musulmana in Myanmar non si era mai opposta, tanto che era stata avanzata la richiesta di revocarle il premio Nobel. Invece?
Il Myanmar non è un paese chiuso come la Corea del Nord, fino a ieri era una democrazia liberale. La storia delle lotte tra buddisti e islamici è vecchia di secoli e si estende fino al Tibet. I Rohingya sono una minoranza islamica in parte emigrata dal Bangladesh e rifiutata dalla maggioranza buddista. In questa situazione la Suu Kyi al tempo ha cercato di mantenere un atteggiamento prudente sia con i buddisti sia con i militari. Allora il Myanmar era una democrazia sotto tutela dei militari, ma il governo democratico era stato ottenuto grazie a un compromesso tra forze liberali e forze filo-militari.
Come si era arrivati a quel compromesso?
Il processo di democratizzazione era avvenuto anche grazie a una collaborazione sotterranea tra Usa e Cina, perché entrambi i paesi erano diffidenti verso i militari. Lo sbilanciamento dei rapporti fra Washington e Pechino negli ultimi anni naturalmente rende tutto più difficile, soprattutto nel mantenere in piedi equilibri precari. E adesso la situazione sta tracimando.
Come reagirà la popolazione? Durante la dittatura militare i buddisti erano molto attivi, e adesso?
Non possiamo ancora prevederlo. Quello che sappiamo è la lista delle 24 persone sotto arresto, molto dipenderà anche da questi nomi. Personaggi come il presidente Win Myint, diversi capi ministri di regione, il presidente del partito di Aung San Suu Kyi, il leader degli studenti Min Thway Thit, e anche lo scrittore Maung That Cho. Tutti costoro sono agli arresti domiciliari.
Pubblicato su Il Sussidiario.net
Francesco Sisci
Sinologo, editorialista, laureato e specializzato in Lingua cinese a Venezia e a Londra, è stato il primo straniero ammesso alla Scuola superiore dell'Accademia cinese delle scienze sociali di Pechino. Contribuisce a diverse riviste e gruppi di riflessione su questioni geopolitiche.
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