Nella giornata di domenica ci sono stati nuovi scontri tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno-Karabakh. Le schermaglie non sono una novità: le due ex repubbliche sovietiche si sono scontrate per tre decenni, sempre col fine di appropriarsi del territorio conteso di Nagorno-Karabakh, situato in Azerbaijan ma controllato dall’Armenia. La ripresa di questo conflitto congelato ora alimenta il timore di una guerra nel Caucaso meridionale e un allargamento dello stesso conflitto a Russia e Turchia.
Dopo giorni di violenti scontri nella regione separatista, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso il proprio sostegno all’appello del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che aveva chiesto alle forze armene e azere di «fermare immediatamente i combattimenti, ridurre le tensioni e tornare a negoziati». Lo riferisce Afp. I 15 membri del Consiglio di sicurezza hanno firmato il documento all’unanimità durante una riunione di emergenza sul conflitto.
Prima delle schermaglie di domenica scorsa, più sanguinosi rispetto al passato, già negli ultimi mesi si erano già verificati scontri a bassa intensità A luglio nella regione, geograficamente azera e amministrativamente appartenente comunità armena, sono morte almeno 16 persone. Ma ancora prima, durante gli anni 90 la disputa è andata avanti per sei anni, provocando circa 30.000 morti e centinaia di migliaia di sfollati. Successivamente, il conflitto è stato congelato, ma le ostilità sono riesplose periodicamente.
Una pausa durata 16 anni
La guerra del Nagorno-Karabakh ha avuto luogo tra il 1988 e il 1994. Il fronte ha visto schierarsi, da una parte, la comunità armena residente nella regione e supportata dalla Repubblica d’Armenia, dall’altra la Repubblica dell’Azerbaigian. Gli scontri sono iniziati nel 1988, quando un milione di persone ha marciato a Yerevan, sostenendo che il Nagorno-Karabakh dovesse essere annesso all’Armenia. Questo desiderio venne legittimato sia dal voto dell’assemblea regionale, sia dal risultato del referendum popolare. La mobilitazione ebbe inizialmente una connotazione totalmente pacifica, ma con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si è trasformata in un violento conflitto tra le due etnie, che ha portato ad accuse di pulizia etnica da entrambe le parti. Questa guerra è uno dei conflitti etnici più distruttivi che siano mai sorti dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, in termini di numero di morti e perdite di beni.
La ripresa delle ostilità
Negli ultimi giorni Armenia e Azerbaigian si sono scambiate reciproche accuse di aver scatenato gli scontri. L’Armenia ha dichiarato la legge marziale e la mobilitazione militare dopo aver accusato l’Azerbaigian di aver lanciato un attacco aereo e di artiglieria contro la regione separatista del Nagorno-Karabakh. D’altrocanto, l’Azerbaigian ha accusato l’Armenia di aver scatenato i combattimenti, definendolo un atto di aggressione. Entrambe le parti hanno riportato morti e feriti tra i civili, ma al momento non è ancora possibile ottenere numeri certi. Durante la notte di martedì, entrambi le parti hanno utilizzato artiglierie pesanti, lasciando presagire che questo conflitto sia tutt’altro che temporaneo. Il ministro della Difesa azero ha affermato che le forze avversarie hanno tentato di recuperare il terreno perduto lanciando contrattacchi in diversi centri abitati, ovvero Fizuli, Jabrayil, Agdere e Terter. Il Ministero ha poi dichiarato la presenza di combattimenti intorno alla città di Fizuli, con bombardamenti armeni nella regione di Dashkesan, al confine tra i due paesi. La Repubblica armena non ha riconosciuto le dichiarazioni azere, ma ha riferito di combattimenti durante la notte e ha detto che l’esercito del Nagorno-Karabakh ha respinto gli attacchi in diverse direzioni lungo la linea di contatto. Secondo il New York Times, c’erano stati già i segnali che il conflitto in Nagorno-Karabakh potesse riaccendersi ed estendersi a Russia e Turchia, ma tali segnali sarebbero stati ignorati dalla diplomazia.
Il coinvolgimento di Ankara e Mosca
L’Armenia fa parte dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, ovvero l’alleanza militare guidata dalla Russia, che è chiamata a sostenere lo Stato membro della propria alleanza. D’altro canto, l’Azerbaigian può contare sul supporto di Ankara che, nonostante i suoi comportamenti non proprio lineari con l’ organizzazione, è un membro della Nato. Allo scoppiare delle ostilità, la Turchia, differentemente dall’approccio intrapreso da Mosca, non ha invitato le parti a cessare il fuoco. Ankara ha fatto ricadere tutte le responsabilità sull’Armenia, addirittura aizzando il popolo armeno contro il suo stesso governo. Come Mosca, Ucraina e Pakistan, hanno invitato le parti ad abbassare i toni, nonostante entrambi i paesi avessero appoggiato gli azeri durante le schermaglie dello scorso luglio. Si capisce che, per Ankara, lo scoppio di nuovi conflitti è vitale agli interessi nel Caucaso, regione in cui cerca di limitare l’influenza russa. Una situazione simile a quanto accaduto in Libia e in Siria, dove viene messo a dura prova il rapporto di Ankara con Mosca. Nonostante l’invito formale di Mosca a cessare le ostilità, è noto come, a partire dallo scorrso luglio, la Russia abbia foraggiato militarmente l’Armenia per aiutarla a sostenere il conflitto.
L’importanza del mercato energetico
Al centro degli interessi economici c’è il mercato energetico. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, l’Azerbaigian ha cercato di esportare il petrolio e il gas senza fare affidamento sulla rete di gasdotti russa. Questa scelta ha attirato l’interesse e i finanziamenti di molteplici investitori occidentali, portando alla costruzione di diversi oleodotti e gasdotti che permettono di esportare le risorse energetiche dal Mar Caspio ai mercati internazionali. A testimonianza di ciò, in Azerbaigian, lo scorso novembre è stato completato un gasdotto situato vicino alla regione di Nagorno-Karabakh. Questo si estende attraverso la Turchia, lo scopo è contribuire a limitare la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas russo. La rete di oleodotti e gasdotti permette all’Azerbaigian di accedere ai mercati internazionali senza passare per la Russia. Se questa condizione perdurasse, Baku avrebbe la possibilità di affermarsi come paese di transito per il trasporto di risorse energetiche dall’Asia centrale all’Europa. Questo dipenderà dallo sviluppo degli eventi nella regione di Nagorno-Karabakh.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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