Si sono conclusi i lavori del Gruppo di Riflessione nominato nel marzo scorso dal Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. I dieci esperti, cinque uomini e cinque donne, hanno discusso il rapporto conclusivo con i Ministri degli Esteri dell’Alleanza il 1° dicembre, presentandolo pubblicamente due giorni dopo. Un documento ambizioso ma concreto, che si propone di ridisegnare l’immagine della NATO del futuro. Un’Alleanza regionale con orizzonti globali: più politica, più coesa, più resiliente.
CEREBRALMENTE MORTA?
“Quello che stiamo vivendo è la morte cerebrale della Nato” – tagliò corto Macron, in una ormai celebre intervista rilasciata all’Economist il 21 ottobre del 2019. Cosa lo spinse a tanto? Facciamo un passo indietro. Siamo in Siria, agli inizi del mese. Il Presidente Trump ha da pochi giorni ordinato il ritiro delle truppe statunitensi dalla regione nordorientale, lasciando così mano libera alla Turchia. Erdogan non perde tempo: già il 9 ottobre le prime operazioni dell’offensiva turca contro le Forze Democratiche Siriane (FDS) – milizie principalmente curde, ritenute da Ankara vicine al PKK e virtualmente alleate degli USA. La mossa è ampiamente contestata a livello internazionale, suscitando non poche critiche. L’impatto è strutturale, la ferita profonda. Sintomo di un cronico male, più che anomalia contingente: la crisi d’identità dell’Alleanza Atlantica.
Ma come ogni crisi, anche questa si rivelò benefica opportunità. E la NATO sembrerebbe averla colta: preso atto della necessità di un cambiamento, gli Alleati hanno lanciato un ambizioso processo di riflessione interna. Mutate circostanze richiedono altrettanto inediti approcci. E a tal fine, priorità elaborate nel 2010 faticano a cogliere le sensibilità di una nuova epoca. Già nel dicembre del 2019, infatti, i capi di Stato e di Governo della NATO – riuniti a Londra per il 70° anniversario dell’Alleanza – diedero mandato al Segretario generale di avviare i lavori per proiettare l’Organizzazione nel nuovo decennio. A questa decisione seguì la nomina da parte di Stoltenberg di dieci esperti indipendenti (tra cui l’italiana Marta Dassù). Un “Reflection Group” con il compito di elaborare un rapporto sulle prospettive future dell’Organizzazione e del mondo in cui si troverà ad operare: il rapporto NATO 2030.
Strutturato su 5 parti, 14 “main findings” e 138 raccomandazioni, il rapporto risponde a un preciso mandato del Segretario generale. Un documento guida, benchmark per il più complesso – e problematico – negoziato intergovernativo che con tutta probabilità si svolgerà nei prossimi mesi, rendendo esecutivo quanto ad ora mero programma. Così la NATO, lungi dall’essere “cerebralmente morta”, si avvia sull’insidiosa strada della riflessione strategica, dimostrando ancora una volta la distintiva resilienza che le ha assicurato una sorprendente longevità.
Fig. 1 – Emmanuel Macron, Jens Stoltenberg e Boris Johnson al summit di Londra del 2019
“UN’ANCORA STRATEGICA”
Come potrebbe allora apparire la NATO tra dieci anni? L’immagine scelta dagli autori è efficace: “un’ancora strategica in tempi di incertezza”. Ovvero, fuor di metafora: tempi incerti richiedono solide strategie. Tempi caratterizzati, secondo gli esperti, dal ritorno di “grandi potenze in competizione”, di “Stati autoritari con agende di politica estera revisionista”, di “sfide sistemiche” trasversali. Un mondo dove al terrorismo transnazionale si sommano pandemia globale, cambiamento climatico e tecnologie disruptive. Nuovi pericoli, ma anche nuove opportunità: tecnologia, ricerca e sviluppo – ma anche Cina, al contempo rivale sistemico e partner strategico. Grande novità rispetto al Concetto Strategico del 2010, che non la menzionava neanche. Cosa può quindi fare un’Organizzazione come la NATO, figlia di logiche apparentemente lontane dall’oggi, dinanzi a un simile scenario? Quello che ha sempre fatto, rispondono gli esperti: adattarsi.
Competizione strategica, conflittualità geopolitica, rivalità sistemiche. Queste dunque le parole d’ordine del prossimo futuro. D’altronde l’Unione europea sembra seguire la stessa narrativa: dalla “Commissione geopolitica” di Ursula von der Leyen alla “doctrina Sinatra” di Josep Borrell. Come affrontare un tale mondo? Puntare sul “ruolo politico” della NATO, afferma Stoltenberg nel discorso di lancio del rapporto: farne un’Alleanza “più globale”. Sia chiaro, ribadisce l’alto funzionario, “siamo un’Alleanza regionale e resteremo un’Alleanza regionale”. Ma, aggiunge, “le minacce che ci si pongono dinanzi sono sempre più globali”. Per farvi fronte, dunque, il Segretario generale evidenzia tre priorità: “restare una forte Alleanza militare”; “diventare politicamente più forte”; “assumere una postura più globale”.
Non solo forza militare, ma soprattutto forza politica. La dimensione militare, infatti, già dal 2014 ha conosciuto un significativo rafforzamento, soprattutto dovuto alla crisi ucraina – non così l’unità politica. Divisioni, fragilità e tensioni interne ne hanno pericolosamente minato la credibilità: dagli strali di Trump contro i “free riders” della difesa, alle critiche di Macron accompagnate dal rilancio dell’autonomia strategica (e militare) europea; dalla sfiorata crisi nel Mediterraneo orientale tra Grecia e Turchia, alle ostensibili contrapposizioni tra Alleati in teatri chiave per la sicurezza collettiva – Libia e Siria su tutti.
Fig. 2 – Il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg
VERSO IL PROSSIMO DECENNIO
Quanto inciderà il rapporto, dunque, sugli sviluppi concreti del pensiero strategico dell’Alleanza? Verosimilmente molto. Ma con un limite significativo, che ne circoscrive alla nascita l’impatto potenziale: si tratta di un testo meramente programmatico, “d’indirizzo”. Base delle raccomandazioni che il Segretario generale formulerà agli Alleati al prossimo summit, a partire dalle quali verrà poi elaborato l’eventuale aggiornamento del vigente Concetto Strategico. Ovvero, sarà il Consiglio del Nord Atlantico – e dunque gli Stati membri – ad avere l’ultima parola. Malgrado ciò, il suo contenuto non è meno rilevante agli occhi dell’analista. Le priorità e le minacce individuate, pur se non rappresentative delle posizioni ufficiali dei singoli Paesi, rappresentano comunque un’eloquente espressione della sensibilità delle comunità di riferimento. E, conseguentemente, dei rispettivi Governi. A ciò aggiungendo una considerazione: il continuo dialogo del gruppo di lavoro con l’esterno – il tutto sotto la costante supervisione del Segretario generale.
Concludere da ciò che il rapporto NATO 2030 evolverà in nuovo documento strategico appare, tuttavia, ancora prematuro. Tale esito dipenderà, in ultima analisi, dalla volontà politica degli Stati membri. Una volontà che nel Consiglio dell’Alleanza Atlantica significa unanimità. Ossia, con altre parole: compromesso. E, com’è evidente, quando si parla di sicurezza nazionale le difficoltà negoziali aumentano esponenzialmente. Proprio la politica, infatti, sarà il perno attorno al quale si giocherà il futuro dell’Alleanza. Ma il mondo, nel frattempo, sembra essere già in quel futuro. Un mondo caratterizzato dal ritorno della conflittualità ideologica, di agende revisioniste, della competizione geopolitica. Ovvero – nelle parole del rapporto – del proliferare o dell’accentuarsi di rivalità interstatali e dispute su “territori, risorse e valori”. Un mondo definito più simile a quello dello Guerra Fredda che a quello anni Novanta.
Ma ci sarà ancora posto per la NATO in tale mondo? Sì, rispondono gli esperti. Ma a una condizione, al contempo necessaria e sufficiente: l’Alleanza deve evolversi. Come? Adattando la sua natura a un ecosistema securitario quanto mai complesso e sfidante, però senza snaturare la propria identità democratica e liberale. Il che comporterà un difficile processo di riforma. Un processo necessario, i cui esiti saranno valutabili soltanto nei prossimi anni. Saranno disposti a tanto i Paesi dell’Alleanza? Questa resta l’incognita maggiore. Il rapporto ha senza dubbio lasciato loro un’ambiziosa eredità da realizzare. La NATO si prepara così al 2030 con molte incertezze e una consapevolezza: “nessun singolo Alleato può affrontare queste sfide da solo”.
Pubblicato su Il Caffè Geopolitico. Di Julian Richard Colamedici[1]
[1] Le opinioni espresse dall’autore non sono in alcun modo riconducibili all’Amministrazione di appartenenza.
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