Alexei Navalny è ancora un obiettivo del Cremlino. Lo conferma la diagnosi dell’ospedale Charité di Berlino. Ora che l’oppositore del presidente russo Vladimir Putin non è più in pericolo di morte, iniziano ad affiorare nuovi dettagli sulla vicenda. Nonostante gli appelli lanciati dall’Unione Europea, il Cremlino nega ogni responsabilità e considera l’apertura di un’indagine come inutile e prematura.
Dal 20 agosto Navalny sta lottando per la propria vita. Il noto attivista e blogger russo si trovava su un volo di linea S7, in volo da Tomsk a Mosca, quando è stato colto da un improvviso malessere, che ha costretto l’aereo a compiere un atterraggio di emergenza ad Omsk. Quattro giorni dopo l’accaduto, grazie alle analisi compiute presso l’ospedale Charité di Berlino, sappiamo che Alexei Navalny è stato avvelenato. La diagnosi del paziente diffusa tramite comunicato stampa dall’ospedale, descrive un’intossicazione da inibitori della colinesterasi, una neurotossina che può avere effetti molto gravi sul sistema nervoso. Al momento la specifica sostanza non è ancora nota ai medici, ma l’equipe ha constatato che il paziente non è più in pericolo di vita, nonostante la gravità attuale della sua condizione.
Gli inibitori della colinesterasi sono ampiamente utilizzati come farmaci per la demenza. Si trovano anche nei pesticidi e in alcuni gas nervini, tra cui il sarin e il Novichok. Recentemente, è stato usato in un attacco del 2018 contro l’ex spia russa Sergei Skripal a Salisbury, in Inghilterra. Possono rallentare la frequenza cardiaca e sono tossici per il cervello. Nello specifico caso di Navalny, l’equipe medica non esclude che i danni dell’intossicazione possano protrarsi sul lungo termine.
Durante i due giorni di ospedalizzazione a Omsk, l’equipe medica aveva negato ogni possibilità di avvelenamento. Secondo i medici, la perdita di conoscenza e il malessere di Navalny erano dovuti a un disordine metabolico causato da un calo improvviso di zuccheri nel sangue. Una diagnosi che aveva richiesto tempo, lanciando sospetti sulla competenza e la professionalità dei medici. Sospetti che sono stati confermati quando l’equipe medica russa si è inizialmente rifiutata di trasferire il paziente giudicandolo in condizioni instabili per il viaggio in aereo. Una motivazione alquanto contraddittoria, che si opponeva ai report diramati in precedenza dalla stessa equipe medica, che lo ha sempre definito critico ma in condizioni stabili. Il comportamento dei medici è quindi sembrato sempre più malizioso, lasciando pensare a delle possibili pressioni del Cremlino per non permetterne il trasferimento. È sicuramente di questo avviso la moglie di Navalny, che ai microfoni di Sky News Uk ha dichiarato: «Si sono rifiutati di trasferirlo. Hanno detto che non possono farlo ora e che non può muoversi, anche se due ore prima avevamo già pronti i documenti per il trasferimento. Pensiamo che questo sia stato fatto per dare tempo agli agenti chimici presenti nel corpo di Alexei di scomparire.[…] Certo, lui non è in buone condizioni, ma non possiamo fidarci di questo ospedale e chiediamo il permesso di trasferirlo per curarlo in maniera indipendente, sotto l’occhio di medici affidabili».
Alla fine, Navalny è stato trasferito a Berlino, grazie al prezioso lavoro della Ong tedesca Cinema for Peace Foundation, che ha fornito un aereo Bombardier per il tragitto, oltre che il necessario personale medico. Ma il colpevole dietrofront dell’equipe medica di Omsk è stato visto come un temporeggiamento architettato affinché la tossina non fosse più rintracciabile. Il ruolo dello Stato ha destato sospetti, non solo per il comportamento dell’equipe medica, ma anche per la forte presenza di forze dell’ordine poco dopo l’arrivo di Navalny presso il reparto di tossicologia di Omsk. Durante la stessa giornata di ospedalizzazione, la portavoce di Alexei Navalny, Kira Yarmish, aveva rivelato ai microfoni di Echo Moskvy di sospettare che l’avvelenamento fosse collegato alla campagna elettorale regionale di quest’anno.
A consolidare l’ipotesi di avvelenamento vi erano anche le recenti e pericolose esperienze vissute dallo stesso Navalny. Nel luglio 2019 infatti, durante la sua detenzione di 30 giorni a seguito dell’organizzazione di una manifestazione non autorizzata, si sospettò un tentativo di avvelenamento, etichettato dai medici come reazione allergica. Nel 2017, invece, venne aggredito con del materiale chimico che gli causò un danneggiamento parzialmente dell’occhio destro.
Certezze sul nuovo accanimento contro Navalny sono giunte con la notizia del pedinamento in corso ad opera del servizio segreto russo. La notizia è stata diramata dal giornale russo Moskovsky Komsomolets, col fine di dimostrare che Navalny non fosse stato avvelenato nei pressi di Tomsk. Come confermato, lo staff di Alexei era consapevole di essere controllato e pedinato dai servizi russi. Un particolare al quale i membri dello staff non hanno voluto dare troppo peso, perché ormai abituati. Lo staff, inoltre, era conscio del fatto che girare un documentario contro la corruzione in Siberia, non sarebbe potuto accadere senza essere seguiti.
Del resto l’accanimento contro Navalny deriva dalla sua ingombrante posizione di oppositore politico, attivista e noto blogger. Navalny ha esordito in politica con Yabloko, partito di minoranza, nel 2000, proprio in concomitanza con l’arrivo al potere di Putin. Da quel momento Navalny è sempre rimasto all’opposizione cercando di lottare contro i cupi meccanismi di palazzo del Cremlino, come dimostra la creazione della Fondazione Anti Corruzione, fondata nel 2011. L’organizzazione, che rappresenta una costante spina nel fianco per l’amministrazione Putin, nel 2018 è stata dichiarata “agente straniero”, consentendo alle autorità di sottoporla a ulteriori controlli.
Questa vicenda quindi permette all’opinione pubblica di aprire nuovamente gli occhi sull’operato di Putin e su come abbia potuto mantenere il comando della Federazione per venti lunghi anni. Intanto, l’Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, chiede che la Russia faccia chiarezza sull’accaduto, richiedendo un’indagine indipendente e trasparente che sveli l’accaduto. Ma Mosca per il momento nega l’apertura di un’indagine. Secondo il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, non vi sarebbero abbastanza elementi per poter supporre l’avvelenamento di Navalny. Peskov ha spiegato che mancano ancora dei dati determinanti come l’identificazione della sostanza, e che l’abbassamento dei livelli di colinesterasi è stata una procedura effettuata dai medici di Omsk. Sembra quindi chiaro che finchè non verrà determinata la sostanza tossica, il Cremlino continuerà a negare ogni responsabilità senza possibilità di indagine.
Si necessita quindi chiarezza anche sul ruolo dello Stato in quello che a tutti gli effetti è da considerarsi come un attentato alla vita di un oppositore politico. Una pratica non nuova al Cremlino quando si tratta di avere a che fare con personaggi scomodi. Tra questi vi furono il politico Boris Nemtsov e la giornalista Anna Politkovskaya, uccisi a colpi di arma da fuoco, e l’ufficiale dei servizi segreti Alexander Litvinenko, morto per avvelenamento nel Regno Unito.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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