«Un eroe del nuovo tempo». Questa scritta, parafrasando Lermontov, è apparsa tempo fa su un muro di Pietroburgo, accanto a un ritratto di Aleksej Navalny. Sorridente, come sempre, con le mani tese a formare un cuore come il giorno in cui apparve in tribunale a Mosca, prima di essere rinchiuso in una colonia penale a Vladimir. Un’icona, quell’immagine, prontamente fatta ricoprire di vernice gialla dal regime. «Navalny contro Putin», di Anna Zafesova, mette di fronte due uomini. Li studia e li racconta, con intuito, scioltezza e umorismo. L’esito della sfida tra loro, all’ultimo sangue, determinerà il futuro della Russia: perché il 20 agosto 2020 è accaduto qualcosa che potrebbe segnare l’avvento di una nuova era.
L’avvelenamento e trasferimento in Germania
L’avvelenamento di Navalny in Siberia, il crollo in aereo, il ricovero e poi il trasporto del grande accusatore del Cremlino, in coma, a Berlino. È probabile che Vladimir Putin abbia pensato che autorizzando il trasferimento in Germania si sarebbe finalmente sbarazzato del più accanito tra gli oppositori (pochi) rimasti. In coma o in esilio, il conto era chiuso.
Un inno d’amore
Non per Navalny. A Berlino, scrive Anna Zafesova, l’uomo che era riuscito a sopravvivere ai veleni dei servizi russi deve essersi convinto che il miracolo della propria salvezza non poteva essere sprecato per una vita tranquilla. È in questo istante che avviene la trasformazione. Il blogger anti-corruzione, il politico come tanti altri, il beniamino di una frazione ristretta della popolazione russa decide che la missione di liberare il proprio Paese dal regime putiniano e renderlo “felice” è più importante della sua stessa vita. Della moglie Yulia, dei due figli. Navalny non sarebbe diventato uno dei tanti dissidenti in esilio.
Il ritorno a Mosca è un inno d’amore alla Russia. Che ora, come ha scritto sul New York Times Oleg Kashin – giornalista ridotto in fin di vita a botte per i suoi articoli contro la corruzione – ha due leader naturali: «Putin al Cremlino, e Navalny in prigione». E il primo, che non ammette avversari e in pubblico non ha mai pronunciato il nome di Navalny per non riconoscergli la dignità di rivale politico, nell’articolo di Oleg Kashin è ora ridotto a consultare lo specchio come la regina cattiva di Biancaneve, chiedendogli: «Chi è il vero leader della Russia?». Navalny, risponde lo specchio.
“Uno scheletro che cammina”
È davvero così? Non conosce paura, il grande accusatore. Dal carcere ha ripreso imperterrito a lanciare i propri siluri contro chi lo ha in mano. È presto per renderci conto se il coraggio, se il sacrificio di Navalny – ridotto, come si descrive lui stesso, a uno scheletro che cammina, dopo lo sciopero della fame deciso per reclamare cure mediche – potranno convincere i tanti russi che pur simpatizzando con lui ancora diffidano delle posizioni nazionaliste assunte in passato, della mancanza di esperienza, dei tanti interrogativi su chi ci sia dietro Navalny e finanzi la sua fondazione.
«Non è un altro Sakharov»
«La condanna che gli hanno inflitto è terribilmente ingiusta – confidava tempo fa un amico moscovita -. Eppure Navalny non mi sembra una figura paragonabile a Sakharov o a Solzhenitzyn. Non ha un programma positivo: sa bene come distruggere, ma saprebbe ricostruire altrettanto bene? Per un qualche motivo, preferirei non vederlo mai alla prova, al potere». La battaglia, però, ormai è su un piano più elevato. È qui che Anna Zafesova conduce i due protagonisti del suo libro: e qui, il Paese che sembra destinato a prevalere nel futuro è quello dei sostenitori di Navalny. Una Russia, scrive l’autrice, che «ribalta due secoli di slavistica» perché non si vede più in eterna contrapposizione con l’Occidente, “noi e loro”, non ha complessi di inferiorità o di superiorità e si ama per quello che ha di bello e buono senza vergognarsi di criticarsi, di contaminarsi con il resto del mondo.
La vera rivoluzione
Navalny non ha problemi a riconoscere l’arretratezza del proprio Paese, ne racconta la corruzione e il degrado senza disperazione: «Si rifiuta di considerarla una maledizione del destino». La carica di ottimismo di Navalny è la sua vera rivoluzione. La differenza con la Russia di Putin – un uomo sempre più distaccato e isolato, forse ormai in balia della propria cerchia ristretta, incapace di interagire con la propria gente – «sta diventando una voragine», scrive Zafesova. Paradossalmente, sia Navalny e Putin sono mossi dalla convinzione di essere chiamati a una missione, salvare il Paese: ma quella dell’attuale presidente, che ha preso in mano la Russia nel caos degli anni 90 e l’ha resa più stabile e più prospera senza però permetterle di fare il grande passo successivo verso un modello democratico, sta scivolando sempre di più verso l’unico intento di preservare il regime. Finito in un vicolo cieco, con in mano solo l’arma di un autoritarismo sempre più rigido. Escluso dallo spirito del tempo, schierato con le vecchie generazioni, incapace di offrire proposte per il futuro alle nuove. E queste sono il terzo protagonista del libro di Anna Zafesova, i giovani destinati a inventarsi un nuovo Paese: il cambiamento verrà dall’interno del sistema che ruota attorno a Putin, o da una rivoluzione violenta? Quella di Navalny sarà un’altra generazione perduta? In ogni caso, questa è la grande occasione mancata dell’attuale presidente russo, incapace di vedere alternative a se stesso: dovrà lasciare ad altri «il compito di riportare la normalità in un Paese rimasto schiacciato sotto le macerie del proprio passato».
di Antonella Scott, pubblicato su Il Sole 24 Ore
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