Il 30 marzo 2016 la Corte Costituzionale del Niger sanciva ufficialmente la vittoria di Mohammad Issoufou al secondo turno delle elezioni presidenziali che si erano tenute il 20 marzo precedente. Con oltre il 90% dei voti, contro il 7% ottenuto dal suo principale oppositore, Hama Amadou, il presidente uscente nigerino veniva dunque confermato alla guida del Paese per un secondo mandato. Amadou era stato arrestato durante la campagna elettorale, per intimidire ogni possibile avversario alla conferma del secondo mandato per il presidente.
Nonostante denunce di brogli e irregolarità, il silenzio della comunità internazionale rispetto a quanto avvenuto strideva con la volontà occidentale di portare democrazia e progresso in una delle aree più critiche del Sahel africano. Ma la ragione per cui si è lasciato che Issoufou intimorisse ogni voce di dissenso c’è ed è macroscopica. Oggi diremmo anzi Macron-scopica.
Già perché la Francia, paese ex colonizzatore del Niger, puntava molto sulla continuità di governo in Niger e non ci teneva affatto a portare avanti una causa democratica in un territorio che pure è di suo interesse (i francesi direbbero che è di loro «competenza»), rischiando di inimicarsi un presidente che ha garantito in questi anni grandi rifornimenti di uranio per il colosso industriale francese Areva, attiva nel campo dell’energia nucleare.
Come noto, l’uranio arricchito è alla base del processo di funzionamento delle centrali termo-elettronucleari per la produzione di energia. Secondo diversi analisti africani e non, secondo la multinazionale transalpina il candidato delle opposizioni Hama Amadou, se eletto, avrebbe rappresentato un potenziale ostacolo per gli interessi francesi in Niger.
La Francia oggi, grazie alla complicità del governo nigerino, accede all’approvvigionamento di uranio dal paese africano a prezzi ridottissimi, coprendo in questo modo oltre il 50% del fabbisogno nazionale di questo minerale, che serve ad alimentare le sue 19 centrali nucleari (in totale, sono 58 i reattori francesi che, grazie all’uranio, provvedono al fabbisogno delle centrali).
Nonostante il governo del Niger abbia cercato in più occasioni di affrancarsi dalla “madrepatria”, tentando a più riprese d’imporre alla Areva costi di estrazione più alti, il governo di Parigi è riuscito a calmierare il prezzo in proprio favore. Perdere una commessa simile, infatti, costituirebbe un danno enorme per il settore energetico transalpino. Ecco perché le forze armate francesi presidiano l’area da sempre. Ed ecco anche perché l’Italia, che dipende dalla Francia per l’energia, ha acconsentito al dispiegamento di 500 uomini a presidio del paese.
Roma si è resa disponibile, grazie anche a un finanziamento di 50 milioni da parte dell’UE, a occuparsi di «sorveglianza e controllo del territorio», ufficialmente per monitorare con maggiore efficacia la rotta chiave dei migranti che dal Niger raggiungono l’imbuto della Libia, dove un coacervo di criminali e islamisti gestisce il traffico di esseri umani, ma anche quello di droga e armi.
La diplomazia economica è sempre stata una priorità del governo francese. E, in tale ambito, molte iniziative sono state avviate per rendere sempre più strutturata la relazione economica franco-italiana, in particolare durante i vertici bilaterali che si tengono annualmente, come quello che ha visto scambiarsi grandi complimenti tra il presidente Emmanuel Macron e il premier Paolo Gentiloni lo scorso 11 gennaio a Roma.
La Francia e l’Italia hanno problematiche energetiche diverse, ma condividono la necessità di sviluppare politiche legate all’energia, fondate anzitutto sulla sicurezza degli approvvigionamenti. Del resto, anche i colossi del settore italiano quali ENI, ENEL e SNAM collaborano stabilmente con le francesi EDF, ENGIE e TOTAL per la distribuzione dell’energia elettrica, per lo sviluppo di reti e per l’innovazione tecnologica.
Ed ecco che l’asse italo-francese si sostanzia in paesi come il Niger, il cui mantenimento dello status quo è imprescindibile per l’approvvigionamento francese e, di conseguenza, per quello italiano. Se, infatti, l’Unione Europea è il più grande importatore di energia al mondo (spende 400 miliardi di euro annui per comprare dall’estero più della metà dell’energia che consuma), l’Italia è a sua volta il più grande importatore di energia elettrica al mondo, con una quota del 15% annuo.
Pur essendo l’unico paese del G8 a non possedere impianti nucleari, infatti, il nostro paese acquista e riceve energia di provenienza nucleare per oltre il 10% del fabbisogno nazionale totale. E da dove arriva la quota di maggioranza di questa energia? Proprio dal nucleare francese.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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