L’azione militare italiana a supporto della Repubblica del Niger è stata approvata dal parlamento lo scorso 17 gennaio. I 470 soldati italiani che verranno schierati nel Paese da qui a giugno andranno a unirsi a militari tedeschi, statunitensi e soprattutto francesi. Parigi è infatti la potenza straniera maggiormente presente in Africa Occidentale: nell’ambito dell’operazione anti-terrorismo Barkhane dispiega attualmente tra Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania oltre 4mila effettivi.
Il compito del contingente italiano in Niger sarà quello di contribuire al contrasto del traffico di migranti che dall’Africa sub-sahariana risale fino alle coste del Mediterraneo e combattere i gruppi jihadisti che imperversano nell’area. Lo farà partecipando ai pattugliamenti delle zone di confine con la Libia e addestrando le forze nigerine per bloccare il cosiddetto “corridoio libico”.
I fattori di rischio
Il Niger, Stato divenuto indipendente nel 1960, ha conosciuto l’alternanza di regimi dittatoriali e governi di transizione fino al 2011 con l’elezione dell’attuale presidente Mahamadou Issoufou. Confina a nord con l’Algeria e la Libia, a est con il Ciad, a ovest con il Burkina Faso e il Mali e a sud con la Nigeria e il Benin. Il Paese è un importante trait d’union tra il nord e il sud dell’Africa, nonché un’area strategica sia per la diffusione della propaganda jihadista che per il transito dei maggiori traffici illeciti: traffico di migranti, traffico di essere umani, contrabbando di armi, droga e petrolio.
Il Niger non dispone di fonti di reddito o di opportunità occupazionali che possano competere con un’attività lucrosa come quella del traffico di migranti ed esseri umani, considerata di gran lunga più redditizia anche rispetto al traffico di droga e al contrabbando di armi.
Diversi studi hanno evidenziato l’enorme valore economico di questo traffico e sottolineato l’influenza che su di esso hanno in Niger due tribù: i Tuareg e i Tebu. Le due tribù controllano questi e altri business illeciti che transitano per il Sahara: dal Sudan a est all’Algeria a ovest, passando per Ciad, Libia e Mali. Prevalentemente concentrati nelle regioni impoverite di Arlit e Agadez in Niger, Tuareg e Tebu hanno in pugno un canale che interessa molto all’Italia, vale a dire la via del contrabbando verso Sebha, in Libia.
La minaccia jihadista
Per il Niger e per i Paesi limitrofi allo stato attuale le minacce più gravi sono due. Da una parte Jamaat Nasr Al islam wa Al mouminin (“Gruppo per la vittoria dell’Islam e dei suoi fedeli”), formazione nata nel 2017 dalla fusione tra AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), Ansar Eddine, Al-Mourabitoune (“Le sentinelle”) e il gruppo salafita Fronte di Liberazione di Macina e di cui fa parte anche il signore della guerra Mokhtar Belmokhtar. Dall’altra i nigeriani di Boko Haram, gruppo affiliato allo Stato Islamico.
Cosa ha fatto finora l’Unione Europea?
Nel 2016, sotto la pressione dell’UE, il Niger ha dovuto adottare delle leggi per contenere le migrazioni irregolari. Tra le iniziative previste c’è l’inasprimento delle pene detentive per i trafficanti di migranti e l’aumento delle sanzioni per quelle compagnie di autobus che risultano coinvolte nel trasporto di migranti irregolari, disciplinando per queste anche il sequestro dei veicoli.
Con il programma MIgration EU eXpertise (MIEUX), coordinato dal Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (ICMPD), l’Unione Europea ha favorito l’elaborazione di una strategia nazionale in Niger per contrastare la migrazione irregolare e, in tal modo, puntare a una diminuzione delle partenze dalla Libia. La rotta migratoria del Mediterraneo è però rimasta calda in questi anni. Segno che i finanziamenti destinati al governo di Niamey non hanno finora prodotto i risultati sperati. Basterà un aumento dei militari nel Paese per invertire questa tendenza?
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