Il primo settembre la polizia nigeriana ha dato notizia del rapimento di oltre 70 studenti liceali nel nord-ovest del Paese, a Maradun nello stato di Zamfara. Ecco un profilo del gigante economico africano, ricchissimo di petrolio ma in pugno a Boko Haram e alle mafie locali, pubblicato sul libro Africa, impresa possibile di Alessandro Vinci, edito da Paesi Edizioni.
Venissero confermate le diffuse infiltrazioni etiopi tra i richiedenti asilo eritrei, il primo Stato africano per numero di migranti arrivati in Italia diventerebbe la Nigeria. Con 88.437 persone sbarcate negli ultimi sei anni, la vasta nazione affacciata sul golfo di Guinea detiene comunque il primato delle richieste d’asilo presentate nel nostro Paese. Se infatti gli eritrei solitamente mirano a stabilirsi in Centro o Nord Europa, più della metà dei nigeriani cerca di ottenere rifugio politico proprio all’interno dei confini nostrani. Nel 2018 la percentuale di accoglimento delle richieste è stata però soltanto del 7%. Questo perché Abuja è il perfetto emblema delle contraddizioni che caratterizzano larga parte dell’Africa. Un continente in cui la miseria, i soprusi e le disuguaglianze spesso rappresentano il rovescio della medaglia di enormi potenzialità economiche non ancora valorizzate a beneficio del benessere comune.
Nello specifico, da un lato la Nigeria ha sottratto al Sudafrica lo scettro di prima economia africana, dall’altro è anche la nazione con il maggior numero di cittadini in condizione di povertà assoluta al mondo: ben 87 milioni, il 43% del totale (202 milioni di persone destinate a raddoppiare entro il 2050). Appare dunque evidente come un’equa redistribuzione del reddito sia del tutto assente: la ricchezza è quasi interamente concentrata nelle mani di ristrette élite presenti nelle grandi città del Sud. Così, a fronte dei circa 10mila milionari che secondo recenti stime vivrebbero nella sola Lagos, le zone rurali dell’entroterra fanno quotidianamente i conti con fame e violenze. O con i terroristi di Boko Haram, attivi principalmente nel Nord-Est del Paese e che si calcola abbiano ucciso dal 2010 più di 30mila persone, causato 2,5 milioni di sfollati e raso al suolo almeno 2mila chiese cristiane.
A ciò si aggiunge la condotta esecrabile delle milizie governative, i cui agenti si rendono responsabili di continue violazioni dei più elementari diritti umani all’interno dei numerosi campi profughi allestiti per gli sfollati. Centinaia di donne separate a forza dai mariti, ad esempio, sono costrette a subire stupri in cambio di cibo. Crimini destinati a restare impuniti anche a causa della corruzione, endemica a ogni livello della macchina pubblica. Un’altra dimostrazione di come, in uno Stato dalle mille aporie, la realtà si riveli spesso l’opposto dell’apparenza: quella di una Repubblica federale costituzionale che nel 2015 ha visto per la prima volta un presidente in carica venire sconfitto dal leader dell’opposizione a seguito di libere elezioni e in assenza di scontri di piazza.
Quanto all’economia, il settore che contribuisce maggiormente al PIL è il terziario (banche, informatica, telecomunicazioni), ma grande importanza è rivestita anche dall’estrazione del petrolio, attività dalla quale deriva circa l’80% delle entrate governative. Primo produttore africano e tredicesimo mondiale, già a partire dagli anni Cinquanta la Nigeria è stata presa d’assalto dalle maggiori compagnie internazionali (tra cui l’italiana ENI), che hanno concentrato i propri impianti nella zona del Delta del Niger. Le conseguenze sono state disastrose: acque inquinate, aria irrespirabile, terreni contaminati, coltivazioni distrutte e creazione di ulteriore indigenza. Per quantificare la portata del problema, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ha stimato che tra il 1976 e il 2001 si siano verificati sversamenti di petrolio per oltre tre milioni di barili, in conseguenza della vetustà delle condutture e nel totale disinteresse dei giganti del greggio verso la tutela ambientale. Le pessime condizioni di vita, unite alla costante minaccia di espropri per fare spazio a nuove raffinerie, hanno quindi spinto parte della popolazione locale a cercare fortuna altrove, Europa in primis.
Ma il sottosuolo nigeriano non è ricco solamente di petrolio. Vi sono anche importanti riserve di minerali e gas naturale. I proventi che ne derivano, tuttavia, vengono solo in minima parte reinvestiti dallo Stato nel welfare o in opere utili alla collettività. La manovra finanziaria del 2016, fortemente voluta dal presidente Buhari, aveva prefigurato l’inizio di una politica economica maggiormente espansiva, ma le speranze di rinnovamento si sono presto scontrate con forti resistenze sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea Nazionale. L’obiettivo, comunque, era e resta promuovere una serie di investimenti strutturali mirati ad affrancare maggiormente il Paese dalla dipendenza dal petrolio, le cui oscillazioni valutarie non garantiscono adeguata stabilità.
È qui che possono entrare in gioco le imprese europee, perché in Nigeria le opportunità non mancano. Resta da compiere l’ultimo passo: inquadrare questi impulsi all’interno di una visione di lungo periodo che non contempli clientelismi e ponga al primo posto i bisogni dei cittadini. I quali, disincentivati dall’espatriare, si sottrarrebbero alle maglie tessute dalla potentissima mafia locale per lucrare sul fenomeno.
Ma i principali business criminali sono altri: droga e prostituzione. In Africa come in Europa. Categoria più vulnerabile, quella delle giovani migranti: prima attirate oltre il Mediterraneo da false promesse, poi costrette a diventare schiave del sesso tramite violenze, minacce e riti vudù di magia nera. Da un’inchiesta del giornale britannico The Guardian emerge che la percentuale di quelle finite sulle strade europee si aggirerebbe attorno all’80%. Solo in Italia la loro presenza sarebbe quadruplicata nel giro di pochi anni. Imprecisato ma cospicuo il numero delle minorenni. Il tutto spesso con il beneplacito delle mafie italiane, che però stanno iniziando a non vedere di buon occhio le crescenti ambizioni nigeriane. Secondo l’ex procuratore nazionale antima a Franco Roberti si tratterebbe di organizzazioni addirittura «più strutturate rispetto alle nostre». Un fenomeno su cui, anche in Italia, urge indubbiamente intervenire.
Tratto dal libro
Africa, impresa possibile
di Alessandro Vinci
Redazione
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