È cominciata una nuova primavera algerina? Oppure ci sarà un’altra sanguinosa battaglia d’Algeri? Al potere dal 1999, Abdelaziz Bouteflika è il leader algerino rimasto più a lungo al potere dopo l’indipendenza dalla Francia raggiunta nel 1962, al termine di una tragica guerra di decolonizzazione con un milione di morti: insieme al ben più giovane Bashar Assad in Siria, è anche l’unico raìs del mondo arabo in sella dopo le primavere arabe che nel 2011 hanno travolto Ben Alì, Gheddafi e Mubarak. Ma la quinta candidatura alle presidenziali di aprile di Bouteflika appare paradossale, irrealistica alla stragrande maggioranza della popolazione, soprattutto ai giovani che sono cresciuti senza avere mai visto altro capo che lui.
Un presidente fantasma
La folla che venerdì si è riversata nelle strade di Algeri voleva marciare verso il palazzo presidenziale ma lui, il presidente, non c’è neppure perché come avviene ormai da molti anni si trova in Francia per cure mediche: l’ictus che lo ha colpito nel 2013 esclude Bouteflika da ogni contatto con il pubblico e anche dalla possibilità di governare. In poche parole Bouteflika è una sorta di presidente fantasma che a 82 anni, malato e probabilmente cosciente soltanto a tratti, non è in grado di governare e tanto meno di assumere un altro mandato.
Nessuna alternativa
Quando nei mesi scorsi veniva riconfermata la sua candidatura, e non c’erano ancora le proteste di piazza, soltanto l’idea di un altro mandato sembrava impossibile: ma il potere in Algeria è così paralizzato dagli anni di piombo della rivolta e del terrorismo islamico che non riesce a trovare un’alternativa neppure tra i gerarchi del partito Fln o tra i militari che da sempre hanno in mano le redini del Paese.
Cosa ci lega all’Algeria
All’Italia gli eventi in Algeria interessano eccome: questo è il secondo maggiore fornitore di gas dell’Italia dopo la Russia, e all’Algeria ci lega una sorta di cordone ombelicale costituito dalla doppia pipeline del Transmed. Ci mancherebbe di essere colti di sorpresa una seconda volta dopo la caduta di Gheddafi in Libia voluta nel 2011 da Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma il nostro è un Paese assai singolare: qualche giorno fa in Libia il generale Khalifa Haftar, alleato di Parigi dell’Egitto e della Russia, si è impossessato del controllo dei giacimenti dell’Eni nel Sud del Fezzan e nessuno da noi ha pronunciato una parola su un evento così strategico.
L’incubo terrorismo
Il potere algerino è così spaventato dalla protesta che evoca tutti i fantasmi del passato recente. Il primo ministro Ahned Ouyahia ha fatto un riferimento diretto proprio gli anni ’90, quando per un decennio questo Paese è stato dilaniato dalla guerra civile e dal terrorismo. Chi scrive è forse uno dei pochi giornalisti testimoni sul campo di quell’epoca quando la vittoria elettorale nel ’91 del Fis, il Fronte islamico, fu seguita dal colpo di stato militare del gennaio ’92: l’Algeria venne sprofondata nel terrore, con oltre 200mila morti in un decennio.
Il timore di interferenze straniere
Ouyahia ha paventato un’altra deriva, quella della Siria, evocando anche il timore di interferenze straniere che per il momento non si vedono. L’Algeria, soprattutto durante gli anni di piombo, è diventato un Paese sigillato, persino ai giornalisti ai quali ci vogliono mesi e mille passaggi burocratici per ottenere un visto. Ecco perché è complicato fare cronaca sul terreno e si trovano pochi reportage sull’Algeria.
La scelta sbagliata
Ma chi sono i manifestanti? Sono soprattutto i giovani ma non sono non legati ai partiti, quasi tutti narcotizzati dal potere, e non sembra che per il momento ci siano infiltrazioni islamiste evidenti o rilevanti. Le manifestazioni, convocate via social network, non sono indette da movimenti strutturati anche se diverse associazioni della società civile vi hanno aderito. L’errore forse peggiore che potrebbe commettere il potere sarebbe una repressione feroce come avvenne nel ‘92 ma ha già fatto una scelta sbagliata: ripresentare agli algerini il fantasma di un presidente.
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