Un’inchiesta del New York Times ha portato alla luce parte di quello che Trump cerca da anni di tenere nascosto: le sue dichiarazioni dei redditi. Al di là del fatto in sé, la questione è se questo potrà impattare sulla campagna elettorale.
LE SCOPERTE
Negli Stati Uniti i candidati e i Presidenti non sono legalmente obbligati a rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi e l’ammontare delle tasse pagate, ma dagli anni Settanta lo hanno fatto tutti. Donald Trump è stato il primo a non farlo da allora. Non è la prima volta che Il New York Times indaga sulle sue finanze e già nel 2018 aveva pubblicato un’inchiesta che poi è stata premiata anche con il premio Pulitzer. Questa volta il quotidiano è riuscito a ottenere parte delle dichiarazioni (fino al 2017) dei redditi di Trump.
Qui un riassunto per punti di ciò che è venuto alla luce:
- Il Presidente avrebbe debiti per oltre 400 milioni di dollari, le cui scadenze sarebbero molto vicine;
- Nel 2016 e nel 2017 avrebbe pagato 1.500 dollari di tasse federali sul reddito (750 all’anno), per dieci dei quindici anni precedenti non avrebbe pagato tasse sul reddito per aver dichiarato perdite economiche;
- Le sue imprese sono in perdita;
- Essere Presidente gli ha portato vantaggi economici, come l’addebitare il conto della permanenza dello staff e della scorta nei suoi resort (Mar-a-Lago in primis) sul conto del Governo oppure l’aver ospitato al Trump Hotel di Washington DC almeno un evento della Billy Graham Evangelical Association per una cifra di 397.602 dollari nel 2017 nell’ambito del World Summit in Defense of Persecuted Christians (durato quattro giorni);
- Durante i primi de anni di Presidenza, i ricavi di Trump all’estero sono stati di circa 73 milioni, in gran parte dai suoi golf club in Irlanda e Scozia, ma anche da contratti di licenza del suo brand in Paesi come le Filippine (3 milioni), India (2,3 milioni) e Turchia (1 milione).
I dettagli si possono trovare nell’articolo del New York Times.
IMPATTI SULLA CAMPAGNA?
Non si possono avere certezze in merito, ma alcune cose si possono chiarire immediatamente. Nonostante l’inchiesta sia di notevole portata, i guai finanziari di Trump passati e anche presenti sono noti a tutti. La sua vita imprenditoriale è stata simile alle montagne russe, perciò gli statunitensi si sono già fatti un’idea del personaggio. In poche parole: l’inchiesta non sposterà voti, se non in parte trascurabile. Chi lo disprezza già lo faceva prima e chi lo sostiene sta già dicendo sui social media che avrebbe fatto bene a ribellarsi al “sistema fiscale predatorio del Paese”.
L’unico vero impatto che l’inchiesta potrà avere nell’immediato è spostare la conversazione politica alla vigilia del primo dibattito con Joe Biden. Trump sta combattendo, infatti, per spostare la retorica dalle ormai oltre 200.000 vittime causate dal coronavirus e dall’aumento dei casi sugli episodi di violenza nelle proteste del Black Lives Matters e sulla teoria che il voto per posta possa essere fraudolento e parte di un complotto democratico per toglierlo dallo studio ovale. Ora si troverà attaccato anche sul lato finanziario.
Emiliano Battisti
Nato a Roma nel 1986, laurea triennale in Scienze Politiche e specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Stagista presso l’Ambasciata italiana a Washington e presso quella statunitense a Roma. Master in Istituzioni e Politiche Spaziali, esperto di Nord America. Segretario Generale de Il Caffè Geopolitico
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