Contrariamente a quanto sostenuto negli ultimi giorni anche in Nuova Zelanda, Paese sconvolto il 15 marzo dalle stragi di Christchurch, la coesistenza tra i musulmani e la popolazione neozelandese non è immune da tensioni da diversi anni. I musulmani nel “Paese dei kiwi” sono circa 50.000 (1% della popolazione), una minoranza in grande crescita aumentata di sei volte tra il 1991 e il 2006. Tra i più interessati alla religione musulmana ci sono i Maori (popolo polinesiano, circa 800.000 in Nuova Zelanda), che in gran numero da qualche anno a questa parte si stanno convertendo all’Islam per effetto di campagne di proselitismo finanziate dai Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita in particolare).
L’islam in Nuova Zelanda è arrivato negli anni Cinquanta dell’800 grazie ad alcuni musulmani indiani arrivati nel Paese come cercatori d’oro, provenienti soprattutto dallo Stato del Gujarat. Nei primi anni del Novecento l’immigrazione di musulmani in Nuova Zelanda è proseguita. La prima organizzazione islamica neozelandese è stata la “New Zealand Muslim Association”(NZMA) fondata ad Auckland nel 1950. Grazie a questa organizzazione e ad altre che nacquesro in seguito, è proseguito l’afflusso nel Paese di musulmani dall’India, dal Bangladesh e dalle isole Figi (specie dopo le numerose rivolte e colpi di Stato).
All’inizio degli anni Novanta la Nuova Zelanda ha deciso di accogliere molti migranti e rifugiati musulmani in fuga da Paesi in guerra come la Somalia, la Bosnia, l’Afghanistan, il Kosovo e l’Iraq. Da quel momento qualcosa nel Paese è cambiato. Fino ad allora, infatti, l’islam neozelandese si era contraddistinto per la tolleranza e la ricerca del dialogo con le altre religioni. Mentre con l’ondata di immigrati di inizio anni Novanta si sono iniziate a diffondere anche le teorie estreme dell’islam salafita che ha presto preso il controllo di alcuni centri di preghiera al punto che all’interno delle stesse organizzazioni islamiche sono sorte le prime tensioni. Fin dal 2012 sono state avviate diverse indagini su alcune moschee e centri islamici come l’Avondale Islamic Centre di Auckland, l’associazione Islam NZ – Islam in New Zealand, l’NZA Dawah Center e la moschea Al Noor sempre a Auckland, perché al loro interno predicavano imam salafiti. Tra questi c’era il predicatore salafita saudita Muhammad Saalih Al-Munajjid che ha influenzato figure come lo sceicco Mohammad Anwar Sahib, anche lui arrivato in Nuova Zelanda con una borsa di studio saudita nel 2011 e del quale sono stati confermati i contatti con Osama Bin Laden. Nel 2013 un altro sceicco molto attivo in Nuova Zelanda, Mohammad Anwar Sahib, ha partecipato a una conferenza in cui ha tenuto sermoni antisemiti, misogini e omofobi.
Poi nel 2014, con la nascita dello Stato Islamico nel 2014, anche la Nuova Zelanda – così come l’Australia, si è dovuta confrontare con la fascinazione che le bandiere nere hanno iniziato ad avere sui musulmani residenti nel Paese. Si calcola che dalle due nazioni siano state in questi anni più di 500 le persone partiti per il “Siraq”. Uno studio del luglio 2018, condotto dal Centro internazionale per lo studio della radicalizzazione (ICSR) del King’s College di Londra e basato su dati ufficiali, accademici e di altro genere, ha concluso che 41.490 persone (32.809 uomini, 4.761 donne e 4.640 bambini) provenienti da 80 paesi si sono affiliati allo Stato islamico. Di questi 753 provenivano dalle Americhe, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda.
Nel novembre del 2016 Mohammad Anwar Sahib, imam della moschea Al-Taqwa di Manaku (a sud di Auckland), ha pubblicato su You Tube una serie di sermoni nei quali si scagliava contro gli ebrei, i cristiani e le donne. Episodi come questo si sono ripetuti in altre moschee al punto che molti neozelandesi – e anche molti musulmani – hanno chiesto a più riprese la chiusura di questi luoghi di preghiera e dei molti siti internet collegati alla figura dell’imam Muhammad Saalih al-Munajjid. Tra quest’ultimi c’è islamqa.info/arì in cui il clerico risponde alle domande dei suoi seguaci.
Le mancate risposte del governo neozelandese rispetto a tutto ciò hanno alimentato polemiche e sospetti sui legami commerciali tra la Nuova Zelanda e i Paesi del Golfo, con l’Arabia Saudita in testa. Non sono accuse del tutto prive di senso considerato che la Nuova Zelanda è il leader mondiale nell’esportazione di carne halal nei Paesi musulmani, a cominciare dal più grande (in termini di popolazione musulmana) e più vicino di questi Stati, vale a dire l’Indonesia. Ad oggi la domanda di carne halal è così forte che gli allevamenti neozelandesi faticano a soddisfare la richiesta.
Nel 2016 Nicolas Pirsoul, giornalista del New Zealand Herald, ha affrontato il tema dei rapporti tra la Nuova Zelanda e l’Arabia Saudita in un editoriale in cui ha denunciato apertamente la presenza di estremisti salafiti nel Paese: «È importante riconoscere l’esistenza di un problema e non sottovalutarlo. La recente polemica di incitamento all’odio, che coinvolge un religioso della moschea at-Taqwa a Manukau, è solo la punta dell’iceberg e segue uno schema ben definito di altri eventi che coinvolgono i sacerdoti salafiti che predicano in Nuova Zelanda, come il religioso egiziano Sheikh Abu Abdullah un paio d’anni fa. Sarebbe ingenuo pensare che le moschee orientate ai sunniti della nostra nazione siano immuni dall’ideologia salafita e dalla sua intollerante e talvolta violenta interpretazione dell’Islam. Sarebbe altrettanto ingenuo credere che la Nuova Zelanda sia libera da legami economici con il Regno saudita, come recentemente sottolineato dal controverso accordo con la fattoria saudita. La misura in cui questi legami economici influenzano la composizione ideologica dell’Islam in Nuova Zelanda è incerta. È importante che la Nuova Zelanda non imiti la clemenza delle altre nazioni occidentali verso questi problemi».
Possibile che le crescenti tensioni tra i musulmani e il resto della società neozelandese abbiano fatto da benzina per incendiare i circoli di Australia e Nuova Zelanda in cui impera l’ideologia suprematista e razzista alla quale si è certamente ispirato Brenton Tarrant, l’autore della strage nelle moschee di Christchurch? Un collegamento c’è di sicuro. Questo clima di tensione latente, sommato all’estrema semplicità con cui in Nuova Zelanda si possono acquistare armi, potrebbero spingere qualche altro folle a emulare la strage del 15 marzo.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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