Giovedì 8 agosto c’è stata un’esplosione nucleare a Nyonoksa, nell’oblast di Arkhangelsk, Russia. Ancora grossi dubbi rimangono sulla natura dell’incidente nonostante le indagini della comunità internazionale, a cui torna in mente la tragedia di Chernobyl di 33 anni fa. L’allarme sulla questione nucleare russa è partito dal New York Times, che ha dichiarato con estrema enfasi che si potesse trattare di una “esplosione nucleare peggiore rispetto a quella di Chernobyl, forse”. Secondo le informazioni raccolte alla stazione ad infrarossi di Bardufoss, all’esplosione delle ore 06:00 UTC se n’è aggiunta due ore dopo una seconda. Dopo diverse smentite, è stato rilasciato dai russi un comunicato stampa della compagnia statale di energia nucleare Rosatom, precisamente alle 01:00 UTC di Sabato 10 Agosto. In questo report, l’agenzia ha informato che, a seguito di un test effettuato, 5 scienziati e 2 militari avevano perso la vita in un incidente dovuto all’utilizzo di fonti isotopiche. In ogni caso, sia Rosatom sia il sindaco di Severodvinsk, paese a 50 km dall’esplosione, sia le istituzioni russe sono rimaste approssimativi ed evasivi riguardo le dinamiche dell’incidente.
Le fonti del reparto di intelligence americana hanno ipotizzato un test con missili nucleari, specificatamente con un prototipo di missile cruise a propulsione nucleare 9M730 Burevestnik, o SSC-X-9 Skyfall secondo la classificazione NATO. Al momento dell’esplosione, le stazioni di monitoraggio nucleare su territorio russo risultavano offline. Lassina Zerbo, capo del Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization, ha dichiarato al Wall Street Journal che le stazioni di Bilibino, Dubna Kirov e Zalesovo, prossime al sito dell’incidente, hanno registrato problemi di comunicazione e trasferimento dati al momento dell’esplosione. Al contrario, le restanti stazioni di controllo del CTBTO distribuite nel mondo hanno rilevato l’incidente. La coincidenza desta molti dubbi, e porta a pensare alla loro volontaria disconnessione allo scopo di celare test nucleari vietati dai trattati internazionali. A conferma del fatto che la natura dell’esplosione coinvolge un reattore nucleare, il 26 Agosto l’agenzia meteorologica russa Rosgidromet ha comunicato i risultati fatti su campioni raccolti dopo l’esplosione, confermando la presenza di gas inerti quali Stronzio-91, Bario-139, Bario-140 e Lantanio-140. Questi isotopi sono ritenuti la causa del breve picco di radioattività registrato nella zona. I primi dati certi hanno aiutato a capire a grandi linee la natura dell’esplosione avvenuta, non coincidente con le versioni offerte dal fronte russo. La natura dei gas rilasciati durante il picco di radioattività, suggerisce Nils Bohmer del Norwegian Nuclear Decommissioning, è prova dell’esplosione di un reattore nucleare.
Nonostante le solide prove ottenute nei 18 giorni successivi all’incidente, le autorità russe hanno continuato a divulgare informazioni discordanti e ad affermare che la situazione era sotto il controllo di équipe di esperti, anche internazionali. Il controllo, però, sembra essere mancato sin dall’inizio: al momento del ricovero dei feriti, i medici non sono stati informati delle cause dell’incidente e quindi della possibile radioattività. Al momento della scoperta, il personale sanitario è stato forzato dal Servizio di Sicurezza Nazionale (FSB) a firmare dei documenti che assicurassero così il silenzio sull’incidente e i relativi effetti. Come se non bastasse, sono state trovate tracce di un isotopo radioattivo, il Cesio-137, nel corpo di uno dei medici curanti, mentre le cartelle cliniche sono state distrutte. I residenti di Severodvinsk hanno reagito all’evento prendendo d’assalto le farmacie della città, in una vera e propria corsa allo iodio che ha determinato l’esaurimento delle scorte. Con la corretta tempestività nella diramazione delle informazioni, sicuramente la situazione poteva essere meglio gestita, se non altro a tutela delle persone residenti nelle aree limitrofe.
Se la natura del fenomeno radioattivo e dei gas rilasciati sembra essere chiaro, ulteriori incertezze riguardano la causa dell’esplosione. L’idea del test di missile bellico è sembrata una giustificazione solida sino alla smentita arrivata dal Moscow Times e dalla CNBC, quest’ultima ha fatto riferimento a dati dell’intelligence americana. Entrambe le agenzie hanno smentito la possibilità di un test balistico, spiegando invece che si è trattato di un’operazione di recupero di un Burevestnik, finito in mare in un precedente test bellico. Come hanno mostrato i risultati, l’attività di ripescaggio del missile era una manovra assolutamente non semplice. Le operazioni hanno coinvolto 3 navi, una delle quali addetta al trasporto e gestione del materiale nucleare. La causa dell’esplosione del piccolo reattore nucleare contenuto nel missile è ancora da chiarire, ma alla luce di questi nuovi accertamenti sono stati anche rivisti i primi dati rilevati. Ne risulta la correzione da parte di Norsar e la confutazione della teoria delle due esplosioni. La stessa agenzia ha chiarito che una delle due esplosioni registrate dalle stazioni di controllo era dovuta ad attività minerarie in territorio finnico, non coinvolgendo quindi la Russia.
Risolto anche il mistero delle due esplosioni, poco di cui attualmente siamo già a conoscenza può essere svelato. Mancano ancora le ragioni dell’esplosione del mini-reattore e del malfunzionamento delle stazioni nucleari russe al momento dell’incidente, ma non si esclude che nuovi dettagli sconosciuti ai media possano venire a galla. Questa situazione di attesa, oltre che essere nociva per l’ambiente e una minaccia per la popolazione, richiama i vecchi fantasmi di Chernobyl. La gestione degli eventi da parte delle autorità richiama i metodi utilizzati al tempo dall’Unione Sovietica, che sposò la tattica del silenzio sino alla scoperta di Stoccolma. Fortunatamente, nuove tecnologie non esistenti 33 anni fa hanno permesso alla comunità internazionale di venire a conoscenza degli eventi in tempi ben più celeri. Ciò nonostante, legittimi dubbi possono essere sollevari riguardo la condotta della Federazione Russa.
Questo incidente arriva l culmine di un periodo già ricco di tensioni che ha visto Stati Uniti e Russia tornare in competizione sul fronte nucleare, al punto da spingere i media a parlare nuovamente di Guerra Fredda. Il 2 Agosto infatti gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) firmato con la Russia nel 1987 e ritenuto fondamentale per evitare una nuova corsa agli armamenti. Questa presa di posizione deriva dalla mancata distruzione di alcuni missili russi, accusati di violare il trattato. L’incidente nucleare sembra confermare le paure americane.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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