«Il potere della gente contro la povertà». Rischia di sgonfiarsi come un pallone d’aria lo slogan della ong britannica Oxfam, accusata dal Times di aver nascosto per anni abusi sessuali commessi da suoi funzionari e operatori in diverse aree di crisi del mondo. Dopo Haiti e Ciad, arrivano anche dal Sud Sudan notizie sconcertanti sulla condotta di diversi membri dell’organizzazione. Le vittime sono donne e in alcuni casi anche minori. Dovevano ricevere un aiuto disinteressato, e invece hanno pagato a duro prezzo il solo fatto di vivere nella parte più povera del pianeta.
In pochi giorni l’inchiesta del Times ha già fatto cadere diverse teste eccellenti. Tra queste quella della vicedirettrice Penny Lawrence, dimessasi il 12 febbraio, che va a sommarsi all’arresto di Juan Alberto Fuentes Knight, presidente di Oxfam International, finito però in carcere per reati di corruzione ai tempi in cui era ministro delle Finanze del Guatemala. Ma altri casi come quello del belga Roland van Hauwermeiren, coinvolto in giri di prostituzione e festini a luci rosse (a cui hanno sono state costrette a partecipare non solo donne ma probabilmente anche minorenni) sia nel post-terremoto di Haiti nel 2010 che in Ciad, sono destinati a risalire a galla nelle prossime settimane e a macchiare la reputazione di altre figure di spicco dell’organizzazione.
Sulla graticola c’è anche il numero uno di Oxfam Mark Goldring, accusato di sapere ma non di non aver fatto nulla per far luce su questi e altri scandali. A puntare il dito contro di lui è stata Helen Evans, garante per le norme di comportamento della ong dal 2012 al 2015. Da un sondaggio realizzato dalla Evans in tre Paesi in cui opera Oxfam è emerso che, su 120 operatori umanitari intervistati, fra l’11% e il 14% era stato testimone o aveva subito aggressioni sessuali. Addirittura nella missione in Sud Sudan il 7% dello staff (4 persone) aveva subito stupri o era a conoscenze di violenze perpetrate da colleghi.
Se, come è prevedibile, l’inchiesta andrà avanti, presto a tremare non saranno soltanto le poltrone ma anche gli stessi pilastri su cui Oxfam ha fondato un vero e proprio impero economico negli ultimi anni.
La storia di Oxfam
La storia di Oxfam inizia nel 1942 a Oxford quando viene fondata la Oxford Committee for famine relief con l’obiettivo di soccorrere le vittime della seconda guerra mondiale. Da allora l’organizzazione è cresciuta di decennio in decennio assumendo nel 1995 la denominazione di Oxfam International. Si tratta di una confederazione di 20 organizzazioni che operano in 90 Paesi del mondo tra Asia, Medio Oriente, America Latina, Africa ed Europa dell’Est. Secondo il Top 100 Charities Fundraising Spotlight 2017, oggi Oxfam è in quarta posizione tra gli enti caritatevoli più “potenti” del Regno Unito, dietro a Cancer Research, British Heart Foundation e Macmillan Cancer Support.
La mission
Nelle sue missioni Oxfam non si limita a intervenire in casi di emergenze umanitarie (dovute a conflitti o persecuzioni) o catastrofi naturali, ma punta ad accompagnare la “rinascita” delle comunità colpite da queste avversità. Lo fa collaborando con le organizzazioni non governative locali e investendo risorse economiche e umane in progetti destinati alla costruzione di infrastrutture (dai pozzi agli ospedali), al settore agricolo, all’istruzione, al sistema sanitario, all’insegnamento di mestieri, all’integrazione sociale delle donne, al sostegno psicologico di chi ha subito violenze.
Il potere economico
Per centrare questi obiettivi Oxfam ha bisogno di molti soldi. Nel suo ultimo rapporto annuale l’organizzazione ha dichiarato un reddito totale pari a 408,6 milioni di sterline: di questi, 176 sono arrivati dal governo britannico e da enti internazionali, 108 da donazioni private e 91 dai suoi negozi. Sono gli shop con l’insegna verde pisello dove si raccolgono fondi per sostenere le missioni e le campagne di Oxfam attraverso la vendita di prodotti equo-solidali di seconda mano. Sono 1.200 nel mondo, 750 solo nel Regno Unito.
In Inghilterra – uno dei sei Paesi al mondo che rispetta la quota dello 0,7% del PIL nazionale da destinare ad aiuti internazionali fissata dall’ONU – Oxfam può contare su 23mila volontari, su 5mila impiegati e su mezzo milione di donatori registrati. Nel Paese l’organizzazione ha una presenza fissa in manifestazioni sportive e culturali come il festival musicale OxJam.
Effetto domino su altre organizzazioni
Lo scandalo di questi ultimi giorni ha già provocato un calo di clienti e di donazioni nei negozi di Oxfam, ma il rischio maggiore per l’organizzazione è che possano essere congelati i fondi che arrivano tanto dalla Commissione Europea quanto dal governo britannico, pari nell’ultimo anno finanziario rispettivamente a 29 milioni e 32 milioni di sterline (vale a dire circa un quarto di quello che Londra spende ogni anno in aiuti internazionali). Il ministro per lo Sviluppo Internazionale britannico, Penny Mordaunt, ha fatto capire che il governo è pronto a chiudere i rubinetti dei finanziamenti se Oxfam non fornirà un quadro chiaro sul comportamento dei suoi capi missione e operatori.
Secondo il Guardian dopo quanto accaduto sarà inoltre inevitabile un effetto domino che andrà a colpire altre ong che ricevono finanziamenti dal governo britannico. L’apertura di un’indagine più ampia su come vengono scelti i soggetti a cui destinare fondi per gli aiuti umanitari, e su come poi questi soggetti fanno uso dei soldi pubblici, potrebbe risucchiare nello scandalo Oxfam anche altre organizzazioni. Da Christian Aid, Save the Children, Croce Rossa Britannica e Medici Senza Frontiere sono già arrivate le prime ammissioni di casi di abusi e molestie sessuali.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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