L’ex stella del cricket Imran Khan è a un passo dal diventare il nuovo primo ministro del Pakistan. Il suo partito Tehreek-i-Insaf (o Pakistan Movement for Justice), è in testa nella conta dei voti all’indomani delle elezioni parlamentari del 25 luglio che hanno visto la partecipazione di almeno 106 milioni di persone. Dopo una campagna elettorale macchiata da intimidazioni e interferenze da parte dell’esercito e dei servizi segreti e da attentati compiuti per mano di gruppi estremisti, anche durante le operazioni di voto sono state registrate numerose irregolarità. L’ultimo di una lunga serie di attentati si è verificato il 25 luglio all’esterno di un seggio elettorale nella città di Quetta. Nell’attacco suicida rivendicato dall’ISIS sono morte 31 persone, tra cui 2 bambini e 5 agenti di polizia.
A quasi metà dei voti scrutinati, il TPI risultava la prima forza politica del Paese musulmano, ma il risultato delle urne è stato subito contestato da Shehbaz Sharif, candidato del Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N), e fratello dell’ex premier Nawaz Sharif finito in prigione con l’accusa di corruzione. Nawaz Sharif è stato condannato a 10 anni di carcere per aver acquistato un appartamento esclusivo a Londra usando conti di compagnie offshore, reati che Sharif in prima persona ha negato di aver mai compiuto. Il fratello Shehbaz ha segnalato l’allontanamento forzato dai seggi, disposto dai militari, degli ispettori inviati dai diversi partiti a garanzia del corretto svolgimento delle elezioni. Il Pakistan People Party (PPP) guidato dal figlio della due volte premier Benazir Bhutto e primo partito in 42 circoscrizioni, ha mosso la stessa accusa contro l’esercito che ha rafforzato la propria presenza ai seggi di ben 5 volte rispetto alle elezioni del 2013. I sostenitori di Nawaz Sharif hanno definito la conta dei voti un “attacco alla democrazia” nel Paese che ha una lunga tradizione di dominio dei militari.
Numerosi ritardi nella diffusione dei dati ufficiali hanno aumentato i sospetti di brogli che sarebbero stati compiuti dagli stessi uomini dell’esercito. La Commissione Elettorale del Pakistan ha però giustificato tali ritardi spiegando che il sistema elettronico usato per il conteggio era andato fuori uso costringendo gli scrutinatori a passare al metodo manuale. Il capo della Commissione Sardar Mohammad Raza ha difeso la legittimità del voto aggiungendo che le elezioni sono state «al 100% trasparenti», ma no ha indicato quando si potranno avere dati definitivi.
Il PML-N ha cercato di presentare all’opinione pubblica le elezioni del 25 luglio come un “referendum sulla democrazia”, difendendo la sacralità del voto. Come prova che il Pakistan avrebbe imboccato la strada del progresso, il PML-N in campagna elettorale ha elencato gli sforzi fatti in passato per migliorare la rete stradale e le infrastrutture che hanno ridotto i casi di blackout elettrico e arginato l’endemica scarsità d’acqua.
Chi è Imran Khan
Imran Khan era il candidato sostenuto dai militari responsabili secondo molti di aver manomesso le elezioni, prima annullando diverse candidature, poi minacciando le altre forze politiche e infine manomettendo il voto. Kahn ha invece ripetutamente smentito di aver avuto l’appoggio dell’esercito che ha governato per quasi metà dei 71 anni di storia del Pakistan. I militari sono ancora al comando della nazione, dotata dell’arma nucleare, e impongono la propria linea nella definizione degli obiettivi della politica interna come di quella estera. La vittoria di Khan è quindi per molti versi scontata e a poco serviranno le denunce di rendere il voto nullo avanzate dagli altri schieramenti politici.
Khan difficilmente arriverà ad ottenete la maggioranza dei seggi in seno all’Assemblea Nazionale, ma nel processo di formazione del nuovo governo dovrebbe avere dalla sua parte alcuni partiti minoritari e altri schieramenti di indipendenti. In campagna elettorale ha giocato molto sulla necessità di sradicare le élite politiche che a suo dire hanno impoverito il Paese. Per questo è diventato un alfiere della lotta alla corruzione, puntando molto su temi populisti per conquistarsi il favore dei pakistani. Khan ha promesso un “welfare state islamico” ma una volta a capo del governo avrà da gestire un debito pubblico che non fa che aumentare e una crisi economica crescente, tanto che il Pakistan è arrivato sul punto di chiedere un nuovo prestito al Fondo Monetario Internazionale, il secondo dal 2013. Islamista e populista, dunque, Khan non ha nascosto le sue simpatie per la Cina, vicina a Islamabad, che dovrebbe finanziare molti progetti nel Paese, e neanche le sue posizioni anti-americane.
Almeno da dieci anni è un aperto contestatore della campagna dei droni lanciata dalla Cia in alcune regioni tribali del Paese al confine con l’Afghanistan. Khan negli anni ha incontrato molti civili resi disabili dalle bombe degli americani e ha sfilato in prima fila durante le marce di protesta contro la “guerra del terrore”. Per il campione di cricket, l’ex presidente Pervez Musharraf avrebbe trasformato il Paese in una “pistola a pagamento” nelle mani degli Stati Uniti, un’arma da usare per combattere le guerre volute da Washington. I rapporti tra il candidato islamista e il presidente Trump hanno toccato il punto più basso dopo la minaccia del capo della Casa Bianca di sospendere gli aiuti alla sicurezza a causa dello scarso impegno mostrato dal Pakistan contro i Talebani afghani e contro la rete degli Haqqani, gruppo islamista che sostiene l’insurrezione armata taliban. Per Khan, al contrario, gli Stati Uniti hanno usato il Pakistan come capro espiatorio dei loro fallimenti in Afghanistan, disonorando la memoria dei soldati morti in battaglia e delle vittime degli attentati che nel Paese hanno provocato più di 60 mila morti.
Una volta insediato, è assai probabile che Khan rivedrà il suo atteggiamento verso gli Stati Uniti. L’esercito infatti è il primo beneficiario degli aiuti alla difesa e alla sicurezza che le Amministrazioni americane hanno elargito al Pakistan. Anche per non compromettere i suoi legami con i militari, Khan dovrebbe evitare quei discorsi carichi di retorica anti-americana che gli sono tornati utili in campagna elettorale. C’è anche un altro motivo che spingerebbe Khan ad assumere un approccio più favorevole verso Washington: la questione afghana e i colloqui di pace tra gli Stati Uniti, il governo afghano e i Talebani, giunti in una fase molto delicata. Il partito di Khan ha governato la provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l’Afghanistan, negli ultimi 4 anni e lui stesso sa bene quanto conti l’influenza del Pakistan per la buona riuscita dei colloqui tra americani e Talebani.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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