PESCO

Come già riportato su Oltrefrontiera, la nuova struttura militare permanente PESCO può dunque prendere il via. Ma di cosa si tratta esattamente? Quello che Mogherini ha definito «un giorno storico per la difesa europea», è in realtà un iter burocratico che porterà da qui al 2021 i governi firmatari a presentare proposte concrete (sono già oltre 50 i progetti) per rendere operativa e dare nuova fisionomia alla difesa comune europea. Soprattutto, li obbligherà a versare una quota ciascuno nel Fondo europeo per la Difesa per un budget complessivo che si dovrebbe aggirare intorno al miliardo di euro. Si tratta perciò di un impegno vincolante, e con un investimento sostanzioso.

L’obiettivo è iniziare a condividere capacità militari e svilupparne di nuove in seno all’UE, che potrà d’ora in avanti farvi affidamento in caso di minaccia. Nelle intenzioni dei firmatari, dunque, PESCO è a tutti gli effetti una piattaforma operativa dove i paesi membri potranno far convergere le proprie forze armate, cooperando su determinati progetti bellici e di difesa. Ad esempio, per trasferire più velocemente truppe ai confini “caldi”, come potrebbe essere oggi quello russo-ucraino.

Secondo l’interpretazione del Generale Mori, già comandante del ROS dei Carabinieri ed ex direttore del SISDE «il problema si risolverà nella costituzione di un comando unico che in gergo militare si chiama “reparto quadro”». Ossia un battaglione «dotato di uffici, ma non di truppe». Una struttura tecnica ma «efficiente solo sulla carta», dove al personale logistico e amministrativo non si affiancano però gli uomini, se non su richiesta e per determinate esigenze.

Non è una novità assoluta. In passato, ci sono stati esempi di brigate miste composte da reparti militari di più paesi che hanno funzionato bene «ma solo per esercitazioni», come ad esempio tra Spagna e Italia. «Dal punto di vista tecnico-militare non è una grande impresa. Si può fare, e penso che alla NATO non dispiaccia neanche» sostiene Mori.

Secondo il Generale Mori PESCO si risolverà «nella costituzione di un comando unico che in gergo militare si chiama “reparto quadro”»: un battaglione «dotato di uffici, ma non di truppe, efficiente solo sulla carta»

Quest’ultimo aspetto è suffragato dalla piccata reazione della Russia. Come riporta il quotidiano filo-russo Sputnik per bocca del politologo e membro dell’Accademia delle Scienze militari della Federazione Russa Sergey Sudakov: «L’idea è semplice, costruire una struttura militare in modo da poter trasferire molto rapidamente armamenti militari ai confini russi […]. Sono stati gli Stati Uniti a fare pressioni per questa struttura, a partire dal 2015. È chiaro che la PESCO è dettata interamente dagli interessi degli Stati Uniti per domare la Russia nella regione».

Il problema del programma PESCO è soltanto nella visione politica e negli egoismi delle singole nazioni. Parigi, ad esempio, premeva per una soluzione che coinvolgesse in questo progetto esclusivamente i cosiddetti “paesi di prima fascia”, cioè quelli più solidi sul piano economico e militare. Alla fine, invece, ha prevalso un approccio più inclusivo, sul quale puntavano Berlino e Roma. Cioè, le altre protagoniste di peso del dibattito.

A restare del tutto fuori dal progetto per il momento sono Malta, Danimarca, Portogallo e Irlanda. Oltre ovviamente al Regno Unito, che sta pagando la propria uscita programmata dall’Unione Europea a caro prezzo. Proprio questa settimana, il generale inglese Richard Barrons ha ammonito la Camera dei Comuni di Londra su come i tagli alla difesa di questi ultimi anni abbiano lasciato «l’esercito britannico indietro di venti anni», tale per cui oggi «è incapace di affrontare le moderne minacce del campo di battaglia». Barrons ha citato l’esempio dell’artiglieria a lungo raggio della Russia, dei suoi droni e dei cyber-attacchi «dai quali oggi non saremmo in grado di difenderci».

 Le accuse di colui che è stato a capo del Joint Forces Command fino al 2016 – che assomma il comando di esercito, marina e aeronautica – sono pesanti e vanno implicitamente nella direzione di quanti credono nella necessità di una difesa europea comune. «L’establishment della difesa è vicino alla rottura e senza più denaro cadrà» ha preconizzato l’ex comandante.

Questo accende una spia sul fatto che la discussione generale sul futuro bellico europeo è in pieno svolgimento nell’intero continente. Da qui al 2021 vedremo se la firma del PESCO del novembre 2017 sarà ricordata come una pietra miliare per la creazione di una sovrastruttura efficiente nello sviluppo di un esercito comune europeo. O se piuttosto è solo l’ennesima “strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni” verso cui Bruxelles è scivolata in più occasioni. Di certo, però, un passo avanti è appena stato compiuto.

La sensazione generale è che, tanto in seno alla NATO quanto all’interno dei circoli militari europei, stia maturando una cultura orientata verso un diverso approccio alla guerra rispetto al passato. Complice anche la presidenza Trump, che non vuole più fare della NATO un carrozzone burocratico dispendioso ed elefantiaco quale è oggi. Un fatto nuovo che, tuttavia, per il momento passa inevitabilmente per uno sforzo economico congiunto e per una diversa strategia nella fabbricazione e dotazione di armi agli eserciti del continente. Il che rischia al contempo di anteporre gli interessi del mercato a quelli della difesa dei nostri confini.