L’instabilità dell’area sahariana-saheliana, dovuta principalmente ai conflitti in corso (Libia e Mali) e alla presenza di diversi gruppi jihadisti, è aggravata dagli interessi che gravitano attorno al contrabbando di petrolio. Il calo del prezzo al barile, tornato gradualmente a livelli accettabili solo negli ultimi mesi, ha reso il greggio africano – in particolare quello nigeriano – una risorsa strategica per i mercati internazionali.
In tutta l’area subsahariana il traffico illegale di petrolio rappresenta una delle attività illecite più redditizie. È un business che in questa zona – considerata altamente strategica dai gruppi terroristici (in primis Jamaat Ansar Islam e Muslimin guidato da Al Qaeda nel Maghreb Islamico, e Boko Haram) e criminali – si somma ai proventi derivati dal traffico di migranti, armi e droga.
Il caso della Nigeria
La vendita petrolio e gas copre il 95% delle esportazioni nigeriane. La produzione giornaliera di petrolio oscilla tra 1,8 e 2,1 milioni di barili al giorno. Di questi, però, almeno 100.000 barili restano impigliati nelle reti del contrabbando per un valore di circa 2,8 milioni di dollari.
In Nigeria il commercio illegale di greggio cresce in rapporto all’aumento di quanti tra funzionari e agenti della sicurezza doganale si fanno corrompere. Sul banco degli imputati è finita anche la Nigerian National Petroleum Corporation (NNCP), accusata anche recentemente di aver avuto contatti con trafficanti di droga per organizzare vendite illegali di petrolio. È un caso che, seppur indirettamente, chiama in causa anche diversi colossi energetici internazionali. Tra questi ci sono l’italiana ENI e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, sospettate di aver chiesto e ottenuto dal governo e dalla compagnie locali un accesso “privilegiato” al greggio nigeriano.
Ci sono due ipotesi principali sul modo in cui viene rubato il petrolio in Nigeria. Una prima ipotesi, collegata a una pratica standard, è che vengano manipolati i contatori e falsificati i documenti di spedizione del carico di greggio. Nelle attività di svuotamento dei cargo prima di ogni “scarico” gli operatori verificano la quantità del carico contenuto nei serbatoi con contatori meccanici e strumenti di immersione. Se però i controlli e le pratiche sono standard per tutte le grandi compagnie, non è da escludere che le condizioni possano variare per altre aziende di medio o piccolo calibro.
Per la seconda ipotesi il furto di greggio avviene dopo che i cargo sono usciti dalle acque territoriali nigeriane. Superati i confini, possono cambiare rotta rispetto a quella stabilita in tre modi: trasferire il carico in un’unica raffineria o smistarlo in più raffinerie; trasferire il carico su un’altra nave o su più navi; trasferire carichi di combustibile in siti di rifornimento specifici.
Chi partecipa al contrabbando di petrolio?
La complessità del business illecito del petrolio è dimostrata dal numero di attori che si ritagliano un ruolo al suo interno. Considerando che le capacità di raffinazione dei Paesi dell’Africa Occidentale sono probabilmente troppo limitate per trattare tutto il petrolio che esce dalla Nigeria attraverso canali illegali, è plausibile pensare che ci siano altri “partner” a far parte della partita. Diversi studi hanno ricostruito la filiera di questo contrabbando. In regioni come il Delta del Niger, ad esempio, il combustibile viene estratto e fatto uscire dal Paese da gruppi criminali locali. Sono però soggetti dell’Est Europa, di Cina, Russia, Paesi Bassi e anche dell’Italia che si fanno carico del trasporto di questi carichi e del riciclaggio del denaro associato a questi spostamenti.
Il ruolo della criminalità organizzata
Stando a quanto emerso negli ultimi anni da diverse inchieste sul “riciclaggio” del petrolio proveniente dall’Africa subsahariana, il ruolo della criminalità organizzata è di notevole importanza. Grazie ai legami con i gruppi jihadisti o i clan tribali che operano nella regione, le reti criminali possono mettere le mani su ingenti carichi di combustibile rubato in totale sicurezza, trasferirlo in piccole navi cisterna o in pescherecci “modificati” e, infine, usare le stesse rotte lungo cui transitano i traffici di uomini, armi e droga.
Le ricerche condotte dall’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) hanno confermato che l’attuale crisi della sicurezza nel Sahel dipende in modo rilevante dai legami esistenti tra criminalità locale, criminalità organizzata internazionale e terrorismo. Tuttavia, vi sono prove che suggeriscono che il crimine transfrontaliero non sempre sia ben organizzato. Le alleanze tra questi gruppi, infatti, non sono affatto stabili. Ed è su questo aspetto che deve far leva chi ha la reale intenzione di fermare questi traffici.
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