«Spesso si fa confusione quando viene evocato questo concetto, intrepretato come sinonimo di autoritarismo. Allo stesso modo ci lamentiamo di un sistema democratico inefficiente. È opportuno cominciare ad affrontare il tema del presidenzialismo per conoscerlo e sottolineando aspetti positivi e negativi». Con queste parole Luca Mencacci, docente di Scienza politica all’Università degli Studi di Roma Guglielmo Marconi, ha introdotto alla libreria Horafelix il 6 febbraio il primo di tre convegni che hanno come tema il presidenzialismo. Una prospettiva istituzionale, quella del presidenzialismo che, come ha sottolineato Lorenzo Castellani, assegnista di ricerca in Storia delle istituzioni politiche alla Luiss, ha origine da una crisi delle istituzioni che risale già ai tempi della Prima Repubblica. ”Dagli anni ‘70 inizia un progressivo scollamento tra la popolazione italiana e il ruolo delle istituzioni – ha spiegato Castellani – Si assiste a una trasformazione dell’economia mondiale e del ruolo dello Stato, si comincia a parlare in senso negativo di Partitocrazia. Cominciano a emergere nuovi movimenti politici che cercano di rompere con quel sistema tipico dei partiti classici. Storicamente in tutti i momenti in cui si è arrivati vicini a una riforma costituzionale, ricercata soprattutto da chi in un dato momento ha incarnato una leadership spiccata all’interno del proprio partito, per diversi motivi tali progetti sono sempre tramontati. Il 2011 ha inaugurato una stagione di commissariamento della politica italiana. Un decennio che si apre con Monti e si chiude con Draghi e che vede riemergere in modo preponderante la prospettiva presidenziale».
«Il presidenzialismo costituisce un feticcio ideologico speculare all’idea di considerare la Costituzione italiana come la più bella del mondo – ha precisato il giornalista Alessandro Sansoni – L’opzione presidenzialista è evidente già dall’Assemblea Costituente, in alcune idee di Calamandrei per esempio. Analizzando la Costituzione si può notare per certi aspetti come la figura del presidente della Repubblica sia accostabile all’istituto monarchico del precedente Statuto Albertino. Inoltre tutte le accuse di golpismo della storia repubblicana si intersecano con la figura del capo di Stato, questo perché tale figura è molto più importante di quanto non sia stata raccontata giornalisticamente. La Costituzione nonostante sia rimasta dal punto di vista letterale la stessa dal 1948 in realtà è in continua evoluzione. Il parlamento è l’elemento debole della nostra Costituzione di fatto, infatti risulta espropriato del potere legislativo. Se il problema è lo scollamento tra Costituzione formale e materiale come si risolve questa discrasia? Nel 1994, con la fine della Prima Repubblica, quasi tutti i programmi elettorali invocavano una nuova Assemblea costituente per poi sparire nuovamente. Forse la vera domanda è come dare nuova forza al parlamento, prima ancora di pensare a come dare forza all’esecutivo attraverso una forma di governo presidenziale. Nel caso in cui si arrivasse al presidenzialismo come si bilancerebbe l’elezione diretta del capo dello Stato? Sono questi gli interrogativi che bisogna porsi».
Secondo Danilo Breschi, docente di Storia delle dottrine politiche alla Unint di Roma, non può manifestarsi un cambiamento della forma di governo a meno che non sia preceduto da un forte trauma per il sistema: «È la continuità a fare l’istituzione. L’instabilità si è esacerbata soprattutto negli ultimi trent’anni. La classe politica può rileggittimarsi se i governi che si formano hanno il tempo necessario per impostare qualcosa, altrimenti anche il giudizio diventa impossibile. Storicamente le stagioni costituenti richiedono un trauma. In Italia ci sono tre storie diverse: L’Italia monarchico-liberale, monarchico-fascista e repubblicana-parlamentare. Attualmente non ci sono le condizioni per una nuova stagione costituente. Bisognerebbe quindi, almeno in tempo di pace, lavorare sui regolamenti parlamentari, per esempio rendendo più difficile la formazione dei gruppi parlamentari. Altro elemento decisivo potrebbe essere un riequilibrio dei poteri. La stabilità è un valore che gli esecutivi non hanno già da molto tempo».
Negli interventi conclusivi della conferenza Paolo Armellini, professore associato di Storia delle dottrine politiche alla Sapienza, ha compiuto un breve excursus storico dell’esperienza presidenziale americana sottolineando come questa sia nata non solo per dare maggiore stabilità al Paese ma, allo stesso tempo, per contrapporsi all’onnipotenza di un nuovo dispotismo totalitario rappresentato dal potere assembleare che si era realizzato nelle tredici colonie. Per Marcello Ciola, docente di Scienze della politica alla UNiMarconi, nel nostro Paese, in relazione al dibattito sul presidenzialismo, sono presenti due dinamiche che si intersecano in maniera complementare, ovvero quella «top down», secondo la quale la moltiplicazione delle crisi ha suscitato nell’opinione pubblica l’idea di dover compiere una riforma istituzionale, e quella «bottom up», finalizzata ad accrescere la responsabilità politica ricercando un rapporto più diretto tra la popolazione e il leader politico.
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Emilio Pietro De Feo
Laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Salerno, sta conseguendo una seconda laurea in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale presso l’Università Internazionale degli Studi di Roma, UNINT. Pubblicista, collabora con Oltre la linea e il Centro Studi Machiavelli.
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