Proteste Libano, Hong Kong, Cile: «Troppo poco, troppo tardi»

Beirut, Hong Kong, Santiago, luoghi molto lontani e molto diversi tra loro occupano in queste settimane le cronache mondiali. Quasi nello stesso momento, il mondo è scosso da un’ondata di proteste popolari, il paragone diventa inevitabile. Ma le rivolte investono anche Iraq, Ecuador, Spagna. Con le dovute differenze dei casi, è possibile scorgere tra le manifestazioni di Libano, Hong Kong e Cile un elemento comune: le persone scendono in piazza per contestare i governi e alcune misure considerate ingiuste, all’inizio. Ma, dopo le concessioni da parte dei leader politici, la rabbia non si placa, il dissenso non si mette a tacere.

È successo nell’ex colonia britannica: l’emendamento alla legge che avrebbe facilitato l’estradizione dei criminali in Cina ha portato di nuovo gli abitanti di Hong Kong per le strade. Il provvedimento è stato dapprima sospeso, riposto in cantina e poi ritirato ufficialmente. «Troppo poco, troppo tardi», proprio così avevano risposto gli attivisti di Hong Kong all’inversione a U della governatrice Carrie Lam, avvenuto dopo tre mesi di manifestazioni che di settimana in settimana sono diventate brutali. La protesta è quindi andata oltre la questione del disegno di legge, trasformandosi in una forma di resistenza e di sfida nei confronti Pechino, accusata dagli abitanti di Hong Kong di perseguire da anni una politica volta a cambiare la natura democratica dell’ex possedimento britannico. Ma «Troppo poco, troppo tardi» è un’espressione valida anche per il Cile e il Libano, come suggerisce un editoriale del Guardian.

In Libano è andato in scena quasi lo stesso copione. Le manifestazioni del 17 ottobre erano scoppiate a seguito della decisione del governo di aumentare il costo delle chiamate su WhatsApp e altre applicazioni simili. Dalla capitale Beirut rapidamente le manifestazioni si erano estese al resto del Paese. La misura prevedeva un aumento di 20 centesimi di dollaro al giorno, misura che il governo si è affrettato a ritirare messo davanti alla reazione popolare. Il premier libanese Saad Hariri, che il 29 ottobre ha annunciato le dimissioni, in evidente difficoltà, aveva chiesto ai partiti della sua coalizione di raggiungere un accordo per un pacchetto di riforme da attuare per superare la crisi economica, senza imporre altre tasse e dando di tempo 72 ore. Il giorno 21 ottobre Hariri ha annunciato una serie di riforme: il dimezzamento dello stipendio di politici e ministri; l’abolizione di alcune istituzioni pubbliche, l’imposizione di tasse sulle banche e alcune iniziative per porre un freno alla corruzione endemica del Libano. Non è servito, era già troppo tardi. Le proteste in Libano non erano più solo delle manifestazioni contro le politiche del governo, ma lo sfogo di un popolo contro il sistema politico, un popolo impoverito che non si è mai sentito una nazione che ora sembrerebbe trovare un senso di unità.

In Cile, invece, le proteste sono iniziate a seguito dell’annuncio dell’aumento del costo del biglietto della metro di Santiago, un aumento di quasi il 3%. Anche in questo caso, il presidente cileno Piñera ha ritirato il provvedimento e ha sostituito otto dei suoi ministri con alcuni più giovani e liberali che dovrebbero stabilire un rapporto migliore con i cittadini, senza tuttavia riuscire a fermare le manifestazioni. Lo stesso Piñera a inizio mese aveva definito il Cile «un’oasi felice in un’America Latina in preda all’agitazione». Ma i cileni lamentano la mancanza di uguaglianza, lo scarso accesso ai servizi e costi della vita ormai altissimi, secondo molti eredità del modello economico imposto dal dittatore Augusto Pinochet. Il 25 ottobre c’erano quasi 1,2 milioni di persone per le strade della capitale.

Questi tre esempi dimostrano quanto una scintilla sia in grado di accendere un fuoco molto più vasto, riportando a galla problemi sistemici mai realmente risolti dalla classe politica, bisogni per i quali non possono esserci soluzioni di comodo o concessioni tardive. Le rivendicazioni iniziali guidano la protesta, che poi prende il suo corso e si propaga come un’onda, ovunque.

Pubblicato su Il Mattino

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