A giugno 2019 il presidente cinese Xi Jinping aveva affermato che Putin era diventato il suo «miglior amico». Non sappiamo se i sentimenti del presidente russo sono corrisposti, i rapporti non fanno che migliorare, ma certamente tra i punti in comune c’è lo stile di leadership dell’«uomo forte al comando». Entrambi hanno preparato il terreno per restare al potere ben oltre i limiti previsti dalle leggi. «Putin per sempre», così potrebbe essere definita la proposta di riforma della Costituzione russa avanzata dal Capo del Cremlino alcuni giorni fa. Una proposta di emendamento che permetterebbe al leader più longevo dall’era di Stalin di continuare ad avere il controllo del potere in Russia oltre il limite del suo attuale mandato, fissato per il 2024. Molte sono le similitudini con il passo compiuto dal presidente cinese nel 2018, la mossa che ha abolito il limite dei due mandati fissato per la presidenza nell’ex Celeste Impero e che ha consentito a Xi di conseguire l’obiettivo di un maggiore accentramento del potere in un unica figura, la sua.
David Zweig, professore emerito di scienze sociali alla Hong Kong University of Science and Technology citato da AP, ha affermato che Putin e Xi mostrano la tendenza propria dei leader autoritari a restare al potere il più a lungo possibile, morendo quando sono ancora in carica. Putin, tra l’altro, sarebbe anche discretamente più giovane di altri politici, più giovane senz’altro rispetto a Donald Trump, tanto per fare un esempio.
Vladimir Putin ha parlato dell’intenzione di tenere un referendum sulla possibilità di introdurre cambiamenti significativi alla carta costituzionale, cambiamenti che conferirebbero maggiori poteri al Parlamento e al governo rispetto a quelli del presidente e che avrebbero come conseguenza la ridefinizione dei poteri degli organi fondamentali dello Stato. Tra questi c’è conferire al Parlamento il potere di scegliere il primo ministro e i membri del governo, attualmente nominati dal presidente, decisione su cui il Parlamento detiene il diritto di veto. Il presidente potrebbe comunque destituire il primo ministro e nominare le persone da porre a capo dei dicasteri di rielievo, per esempio quello della Difesa. Una riforma solo all’apparenza motivata da un intento democratico e considerata invece da molti una sorta di golpe bianco. Nel 2024 scadrà l’attuale mandato presidenziale, il quarto in tutto e il secondo consecutivo per Putin che, secondo la Costituzione, non potrebbe candidarsi nuovamente. Con gli emendamenti, invece, lo «zar» potrebbe provare a diventare ancora una volta primo ministro, ruolo già ricoperto per due volte. Niente di troppo dissimile a quanto accaduto in Cina nel 2018, ma in quel caso Xi aveva messo da parte il principio della leadership collettiva stabilito da Deng Xiaoping negli anni Ottantama per fare della Cina qualcosa di sempre più simile un’autocrazia moderna. Deng aveva cercato di mantere la distinzione tra governo e partito, provando a proteggere la Cina dalla deriva dell’autoritarismo. Xi, al contrario, ha messo fine al processo collegiale di decision making, plasmando il partito secondo il proprio volere.
Putin ha il sogno di una Russia forte e ricca, lo stesso che Xi coltiva per la Cina. I due, però, non hanno la stessa visione dell’URSS, tanto per citare una diffenza. Il primo ne rimpiange la grandezza, ma ne deplora la gestione dell’economia. Il secondo ha più volte citato la caduta dell’Unione Sovietica come un pericolo per la sopravvivenza del Partito Comunista e come esempio da evitare a tutti i costi. In questi anni in Cina sono aumentate la repressione e la censura, lo Stato ha elaborato sistemi di controllo e sorveglianza sempre più sofisticati e tecnologici per tenere sotto stretta osservazione la popolazione e per contenere il disordine interno. Il presidente Xi ha allontanato gli oppositori dal partito, la campagna anticorruzione ha ripulito il sistema politico da una pratica dilagante e molto pericolosa per la Cina ma potenzialmente autodistruttiva per Xi. La Russia, invece, ha mantenuto, a livello formale ma non le funzioni, di una democrazia multipartitica. Putin, al contrario di Xi, non ha tuttavia un apparato di partito che possa essere scontento delle sue mosse e oggi si avvale di un nuovo primo ministro visto come un mero burocrate senza alcun peso politico. Eppure, nessuno dei due è esente dai pericoli dell’«uomo forte al comando». Il consenso popolare di cui godeva Putin sembra scemato a causa dell’effetto negativo delle sanzioni economiche, motivo che potrebbe averlo spinto ad annunciare una riforma autoritaria «mascherata» da azione a tutela della democrazia per evitare reazioni popolari. Xi sarebbe invece in difficoltà con la gestione del dissenso anche da parte del partito, al cui interno si moltiplicherebbero le voci contrarie al presidente, oltre che all’esterno come ha dimostrato la feroce rivolta di Hong Kong. Xi, infine, ha iniziato l’anno del topo nel peggiore dei modi a causa della diffusione del coronavirus, un test per la Cina, la cui gestione non passerà inosservata agli analisti esperti di affari cinesi.
FOTO: AP
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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