Il 2020, per Putin, doveva essere l’anno della consacrazione. Ma Vladia ha mostrato segni di cedimento soprattutto nell’ultimo periodo, esibendo difficoltà comunicative e politiche.
In questo 2020, dunque, l’unica, magra soddisfazione è costituita dall’approvazione delle modifiche costituzionali, tramite referendum, che permettono virtualmente a Putin di restare al potere fino al 2036. La soddisfazione è magra, sia perchè Putin è in una situazione difficile a causa di un importante declino di consensi, sia perché il presidente non ha fatto che peggiorare la situazione della democrazia in Russia. Di fatto, le vicende di Khabarovsk sembrano confermare il presentimento secondo cui Putin starebbe perdendo autorità, come giustamente evidenziato dal Financial Times.
La goccia che faccia traboccare l’enorme vaso russo viene dalla remota regione di Khabarovsk, situata nella Russia estremo-orientale, al confine con la Cina, e non in aree più centrali del Paese. La regione, una delle 85 divisioni amministrative appartenenti alla Federazione, si distingue per avere il territorio più esteso e la minore densità della Russia.
I tumulti sono nati con l’arresto di Sergei Furgal, ovvero il governatore della regione di Khabarovsk. Il Comitato Investigativo, la principale agenzia di investigazione della nazione, ha riferito che Furgal è stato accusato, insieme ad altri quattro complici, di aver partecipato agli omicidi di diversi uomini d’affari della regione tra il 2004 e il 2005.
A seguito di tali arresti, tre settimane fa sono scoppiate le proteste nella regione, sebbene i manifestanti avessero moventi diversi. Se una parte di quelli scesi in piazza per protestare pacificamente crede nell’innocenza di Furgal, la maggioranza desidererebbe invece che l’ex governatore sia processato a Khabarovsk e non a Mosca, dove è attualmente detenuto in attesa di giudizio. Ciò, probabilmente, perché la popolazione ritiene il giudizio di Mosca pericoloso e di parte. Furgal è membro del partito Liberal-democratico, all’opposizione in Russia e schierato contro Russia Unita, partito di maggioranza legato a Putin.
Lo scontento ha raggiunto il picco il 20 luglio, quando Furgal è stato rimosso dalla posizione di governatore da Vladimir Putin. Il Presidente ha rispettato la volontà popolare rimpiazzando Furgal con un membro diverso dello stesso partito, ovvero Mikhail Degtyaryov. Una persona, però, oggettivamente incompetente per il ruolo, in quanto non originario della regione né a conoscenza delle caratteristiche economiche e territoriali di Khabarovsk. La scelta è stata accolta con grande malumore dalla popolazione locale, la quale progressivamente nutre sentimenti anti-Cremlino sempre più forti. Sentimenti riassumibili con la semplice dichiarazione di Alexei Potashenko, un imprenditore che ha parlato piuttosto apertamente ai microfoni del Moscow Times: «Continuano a sputarci in faccia, così noi, popolo, continuiamo a uscire».
Alexander Khinshtein, capo della commissione per l’informazione e la comunicazione della camera bassa della Duma (il Parlamento) ha infatti dichiarato sul suo profilo Twitter: «Le forze dell’ordine russe erano da tempo a conoscenza delle presunte connessioni criminali di Furgal […] Non sono sorpreso del suo arresto, sono sorpreso che sia successo così tardi».
La severità con cui la maggioranza politica si è espressa però va ben oltre l’innocenza o la colpevolezza. Furgal è stato eletto con una vittoria a sorpresa nel 2018 a seguito di una votazione di protesta, dato il sentimento di crescente avversione dei cittadini locali nei confronti del partito Russia Unita. Così, Furgal è diventato rapidamente il “governatore del popolo”. La sua vasta popolarità è cresciuta dopo che una volta in carica ha fatto diverse mosse di stampo populista e ha aiutato il Partito Liberale Democratico, di estrema destra (LDPR), ad assumere il controllo della città di Khabarovsk e dei parlamenti regionali l’anno successivo.
In Russia non è usuale assistere alle proteste. Queste ultime vanno avanti ormai da quattro settimane e sono diventate particolarmente serie negli ultimi giorni. Finora Putin non è intervenuto direttamente nella questione: alcuni analisti politici ritengono che sia per mancanza di interesse nei confronti di una zona così remota, altri sostengono che abbia sottovalutato la portata delle manifestazioni e non sia più in grado di contenerle.
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Sebbene non vi sia ancora stato un intervento esplicito del Presidente, l’autorità governativa non ha esitato a intervenire. Un tribunale russo ha condannato il noto blogger Aleksei Romanov, che ha divulgato la notizia delle proteste, a sette giorni di carcere dopo averlo giudicato colpevole per aver violato la legge sulle riunioni pubbliche. Inoltre, secondo quanto riferito a RFERL, decine di persone sono state arrestate durante le manifestazioni del il 1° agosto, che ci sono state in tutta la Russia. Ma, al momento, sul portale di monitoraggio dei diritti umani russi OVD – Info group non sono state segnalate detenzioni durante l’evento di Khabarovsk.
Con gli incidenti in Siberia e nell’area di Chernobyl, si sono evidenziate le mancanze comunicative-istituzionali all’interno del Paese. Il Donbass è ancora fonte di contrasti, malgrado l’arrivo del neopresidente ucraino Zelensky intenzionato ad appianare i conflitti. In generale, la Russia è costantemente sotto la lente d’ingrandimento per le interferenze, digitali e non, negli affari interni di altre nazioni. I dubbi sull’autorità del presidente sono motivati dall’insolito tacere di Putin. Del resto, però, Putin non aveva mai vissuto un periodo così difficile nella sua lunga e incontrastata carriera politica.
Dmitry Morgulis / TASS
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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