Il 29 maggio, quasi un mese dopo la diffusione in parte censurata del “rapporto Mueller”, il procuratore speciale Robert Mueller a capo dell’indagine sul Russiagate ha letto una dichiarazione nella sede del Dipartimento di Giustizia Usa. Mueller ha ripetuto in sostanza le conclusioni esposte nel documento conclusivo dell’indagine durata 22 mesi in merito alle interferenze russe nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti e sui possibili tentativi del presidente Donald Trump di ostacolare la giustizia. Il procuratore si è dimesso spiegando di aver terminato il suo lavoro e ha detto di non essere riuscito a indicare se il presidente Trump abbia o no commesso un crimine. Mueller però ha aggiunto: «Se avessimo avuto la certezza che il presidente chiaramente non aveva commesso alcun crimine, lo avremmo detto». Mueller ha anche spiegato che un presidente non può essere incriminato quando è ancora in carica, per via della linea seguita dal Dipartimento di Giustizia e del principio della separazione dei poteri previsto dalla Costituzione. L’indagine di Mueller non avrebbe dunque mai potuto incriminare Trump ma solo consigliare un’incriminazione e Mueller ha deciso di non farlo per insufficienza di prove. Uno dei punti su cui si è pronunciato è stato il ruolo di Mosca nella campagna elettorale di Hillary Clinton: «Funzionari delle forze armate hanno lanciato un attacco coordinato diretto contro il nostro sistema politico». Le conclusioni del rapporto, per orientarsi tra le centinaia di pagine del documento che ha scosso la politica americana, in vista di una lunghissima stagione elettorale:
1. VOLUME I: NESSUNA COLLUSIONE
Il dossier Mueller è costituito da 448 pagine dense e piene di dettagli e riferimenti precisissimi. L’ex direttore dell’FBI Robert Mueller e la sua squadra (o “L’Ufficio”, “The Office” nel dossier) hanno lavorato per due anni senza sosta in un clima tesissimo producendo due volumi di grandissima importanza per la democrazia degli Stati Uniti.
Il Volume I è dedicato all’indagine sulla presunta collusione tra la campagna di Trump e la Russia ed è diviso in due parti: la strategia russa per interferire nelle elezioni statunitensi e le operazioni di avvicinamento dei russi all’entourage dell’allora candidato repubblicano. Secondo la ricostruzione i russi avrebbero agito attraverso due agenzie: l’Internet Research Agency (IRA) e la Main Intelligence Directorate of the General Staff of the Russian Army (GRU). L’IRA si sarebbe occupata delle operazioni sui social network (principalmente Facebook e Twitter) per creare e mantenere viva la discordia nel già infuocato clima politico e sociale statunitense. La GRU si sarebbe invece incaricata delle operazioni di hackeraggio nei confronti della campagna di Clinton, e più in generale dei democratici, e della successiva pubblicazione dei materiali rubati, con il chiaro obiettivo di danneggiare Hillary. Il dossier chiarisce che non vi sono prove che possano sostenere la tesi di una cooperazione tra la campagna di Trump e le due agenzie, che hanno dunque lavorato in maniera indipendente.
I russi, però, hanno tentato l’avvicinamento all’entourage di Trump. Sono diversi i contatti e gli incontri tra esponenti della campagna di Trump, come Kushner, Papadopulos o Flynn, e ufficiali russi, come l’ex ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergey Kislyak. L’Ufficio ha indagato e riportato con estrema precisione gli incontri, i messaggi e i contatti telefonici e non ha riscontrato nessuna prova che evidenziasse né una cospirazione né un coordinamento tra le due parti per interferire nelle elezioni del 2016.
Fig. 1 – Robert Mueller in un’immagine del 2013
2. VOLUME II: IL DILEMMMA DELL’OSTRUZIONE DELLA GIUSTIZIA
Se il Volume I si concentra sulla presunta collusione, il Volume II indaga sull’ipotetica ostruzione alla giustizia del Presidente Trump. L’Ufficio è stato nuovamente molto preciso nel dettagliare i riferimenti giuridici, gli avvenimenti e le ragioni delle decisioni prese. Il focus è posto sulle reazioni del Presidente in relazione alle indagini svolte da Mueller e dal suo staff. Si dettagliano i primissimi mesi dell’Amministrazione Trump, quando lo scandalo travolse l’allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Flynn, e Trump si trovò a più riprese faccia a faccia con il direttore dell’FBI James Comey, prima di licenziarlo e scatenare nuove polemiche. Si passa ai primi tempi dell’inchiesta dello Special Counsel, con Trump indagato e la sua forte preoccupazione di avere davanti «la fine della mia presidenza». Vi è, poi, una dettagliata ricostruzione dei movimenti di Trump nei confronti di chi, tra i suoi ex consiglieri, ha deciso di cooperare con l’indagine, dopo essere stati travolti da scandali e accuse.
Nonostante tutto il lavoro, la conclusione del Volume II rimane sospesa. L’Ufficio, infatti, è chiaro nel sostenere che non vi è alcuna prova che consenta di avere la certezza né che il Presidente abbia commesso il reato di ostruzione alla Giustizia, né che non lo abbia commesso. Una conclusione che si basa su fatti comprovati e principi giuridici lungamente elencati nel Volume. Una conclusione che non mette un punto definitivo sulla questione e ci porta a una nuova fase della faccenda.
Fig. 2 – Kamala Harris e William Barr durante la testimonianza del 1 maggio 2019
3. I MESI TERRIBILI DI WILLIAM BARR: CENSURA, DECISIONE, TESTIMONIANZA
Già Procuratore Generale durante la presidenza di George H. W. Bush, William Barr è stato confermato a capo del sistema legale statunitense il 14 febbraio 2019. Dopo poco più di un mese Barr ha ricevuto il dossier Mueller e ha deciso di non rendere il documento pubblico prima di averlo letto e censurato attentamente. Il documento pubblicato, infatti, presenta un discreto numero di parti oscurate. I motivi sono diversi: possibile danno a indagini in corso (“Harm to ongoing matter” o “HOM”), privacy personale (“Personal Privacy”), gran giurì (“Grand Jury”) e tecnica investigativa (“Investigative Technique”). Le maggiori censure sono concentrate nella prima parte, in particolare nei capitoli dedicati alle operazioni di hackeraggio delle agenzie russe. Il Volume II vede censurata una parte del capitolo dedicato alla condotta del Presidente riguardo a uno dei testimoni chiave dell’indagine, di cui non si conosce l’identità.
In attesa della lettura completa e della pubblicazione del documento, Barr ha riassunto le conclusioni in una lettera indirizzata alla Commissione per gli Affari Giudiziari del Senato statunitense. L’Attorney General, tuttavia, non si è limitato alla descrizione della metodologia e delle conclusioni del dossier, ma ha comunicato alla Commissione la decisione di considerare insufficienti le prove raccolte da Mueller circa il reato di ostruzione alla Giustizia, prendendo così una decisione che il Procuratore Speciale aveva deciso espressamente di non assumere. A questa lettera e a queste conclusioni è seguita una lettera dello stesso Mueller al Procuratore Generale. In poco più di una pagina, Mueller ha espresso la sua preoccupazione per la confusione pubblica scaturita in seguito alla lettera di Barr alla Commissione, che, a suo dire, non cattura completamente né il contesto, né la natura, né la sostanza del lavoro e delle conclusioni dell’Ufficio.
In un clima nuovamente infuocato, con i democratici che scaldano i motori per le primarie, Barr ha affrontato le domande della Commissione del Senato sul dossier e sulle sue conclusioni sul documento.
Elena Poddighe
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