A un anno dalla liberazione per opera delle Forze Democratiche Siriane, Raqqa continua a lavorare, a rilento e con grande fatica, alla propria ricostruzione. L’occupazione di Daesh e la violenta guerra urbana per la sua riconquista hanno lasciato una città distrutta e priva dei servizi essenziali.
1. L’OCCUPAZIONE
La conquista di Raqqa da parte dell’Isis risale ai primi mesi del 2014 e per tre anni i miliziani di Daesh hanno occupato la città, proclamandola capitale politica del Califfato. L’obiettivo era creare un centro di comando, con un vero e proprio apparato burocratico e opere pubbliche, che attirasse combattenti dall’estero e che facesse da capitale allo Stato Islamico appena proclamato. Secondo uno studio di Eric Robinson, consulente per il Dipartimento della Difesa americano che ha analizzato le immagini satellitari della città nel periodo pre e post occupazione, per un certo periodo a Raqqa economia e infrastrutture hanno continuato a funzionare, di pari passo con la brutale imposizione della shari‘a e la dura repressione di ogni minoranza e opposizione nella rotonda di Al Naim, la piazza dell’inferno, macabro simbolo dell’occupazione. Fino a quando, con l’avvio delle operazioni militari per la riconquista della città nell’estate del 2016, l’Isis ha abbandonato definitivamente il progetto statale e dato inizio alla vera e propria distruzione di Raqqa.
Fig. 1 – Gli edifici di Raqqa ancora in macerie.
2. LA LIBERAZIONE
La liberazione della città è stata una violenta e difficile guerra urbana, in cui le Forze Democratiche Siriane, con il supporto dell’aviazione americana, sono avanzate casa per casa, riprendendo Raqqa una zona dopo l’altra, fino a quando, il 17 ottobre del 2017, le milizie curde hanno issato la loro bandiera sullo stadio e nell’ospedale. Nei due anni di guerra migliaia sono stati i morti e i feriti, soprattutto tra i civili, causati non solo dalla violenta ritirata dell’Isis, ma anche dall’altrettanto violenta avanzata delle Forze Democratiche Siriane e dagli attacchi aerei dell’aviazione statunitense, raddoppiati rispetto all’anno precedente, in linea con la nuova “strategia di annientamento” voluta da Trump. Secondo le statistiche della ONG britannica Airwars, nel 2017 gli attacchi aerei americani in Siria sarebbero aumentati del 50% rispetto al 2016, le morti civili del 215%, mentre, alla fine della guerra, l’80% di Raqqa è stato dichiarato inabitabile.
Fig. 2 – Una donna ritornata nella sua abitazione a Raqqa.
3. LA RICOSTRUZIONE
Un anno dopo la riconquista Raqqa è una città in rovina: un tempo abitata da circa 300mila persone, rimane ancora oggi in macerie, senza acqua potabile, né luce, priva dei servizi essenziali e disseminata di mine e ordigni esplosivi lasciati dall’Isis durante la fuga. Più di 150mila persone hanno fatto ritorno in ciò che è rimasto delle proprie case, ma continuano a vivere al piano terra tra le macerie di abitazioni di fatto inagibili. La gestione di Raqqa è oggi nelle mani del Consiglio Civile, un gruppo composto da arabi e curdi, ma in realtà a guida curda in una città a maggioranza araba. Consapevoli di non ben essere accette in un territorio essenzialmente arabo, le milizie curde della YPG (Unità di Protezione Popolare), che compongono per la maggior parte la coalizione, difficilmente riusciranno a conservare l’attuale controllo sulla città, soprattutto nel caso di un ritiro americano, della conseguente avanzata di Damasco e visto il crescente risentimento della popolazione araba nei confronti della nuova amministrazione. Con un comunicato fatto girare sul web e i media locali è stata annunciata la nascita di un fronte popolare di resistenza, vicino al regime siriano, che si oppone alla presenza delle forze militari statunitensi e delle milizie della coalizione, soprattutto quelle curde. Ricostruire è fondamentale, ma prestare attenzione alla fragilità e alla complessità del contesto lo è altrettanto, per non alimentare risentimenti e ridare spazio all’azione di cellule dormienti jihadiste ancora tutt’altro che eliminate. Riguardo ai fondi, gli Stati Uniti hanno fornito finora circa 250 milioni di dollari per la ricostruzione di Raqqa, principalmente destinati a organizzazioni no profit locali. A marzo, tuttavia, l’Amministrazione Trump ha deciso di congelare gli altri 200 milioni di dollari di fondi previsti per la stabilizzazione del Nordest del Paese, mentre è di dicembre la decisione di ritirare i circa 2mila soldati americani al momento presenti in Siria. Una chiara intenzione di disimpegno che implicherebbe meno fondi per la ricostruzione e che aprirebbe la strada per una riconquista di Raqqa da parte del regime di Asad, con una nuova guerra per il controllo del territorio. Ciò che finora gli abitanti della città hanno ricostruito delle loro vite è stato anche grazie alla naturale capacità di resilienza umana, ma in tanti parlano non di una liberazione, ma di sistematica distruzione: «Come possono sentirsi liberi quando le loro vite sono state distrutte?»
Maria Di Martino
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