Al tempo del referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la questione Brexit fu affrontata piuttosto male in Italia, come qualsiasi cosa riguardi la politica estera, che pochi conoscono e di cui nessuno si occupa con la necessaria perizia. Brexit è stata strumentalizzata a fini di politica interna e trasformata in una specie di arma brandita per fare campagne elettorali, per polarizzare il pubblico, soprattutto sui canali di social media, rendendo archetipo un tema ormai desueto ma sempre divisivo, e cioè la contrapposizione tra due modelli ugualmente sbagliati: il sovranismo e il globalismo. Sarebbe più corretto affermare che il mondo è retto da un complesso set di relazioni tra attori statali, le nazioni, secondo un modello di ordine liberale, basato sulle regole del diritto internazionale, sul sistema monetario globale e sul commercio internazionale.
La Brexit non deroga a questo modello, anzi lo rilancia. Il nuovo paradigma di relazioni anglo-europee è ora basato sull’Accordo di commercio e cooperazione (Tca) tra Uk e Ue stipulato a dicembre 2020. Il Tca è un trattato tra parti contraenti indipendenti e sovrane: un accordo tra pari. Londra e Bruxelles hanno cristallizzato con uno strumento pattizio un nuovo assetto geopolitico; tra le due parti permangono relazioni intergovernative sui temi della sicurezza e del commercio. Ma l’ambito particolarmente limitato del Tca evidenzia la nuova strategia britannica, poi successivamente formalizzata nella Revisione Strategica Integrata presentata dal primo ministro Boris Johnson alla Camera dei Comuni a marzo 2021. Mentre l’Europa diventa marginale rispetto all’interesse nazionale britannico, l’Uk si sta riconnettendo in maniera sistematica al Commonwealth e agli Stati Uniti d’America, allo scopo di acquisire una posizione centrale nel commercio internazionale attraverso accordi bilaterali a Oriente e a Occidente, e una posizione rafforzata sia nell’area di libero scambio dell’Indo-Pacifico, attraverso l’adesione al Cptpp, che nel dispositivo militare regionale, attraverso la creazione del nuovo formato Aukus.
In futuro, Londra sarà più complementare a Washington dal punto di vista della sicurezza internazionale, autonoma dal punto di vista militare, e completamente indipendente dal punto di vista energetico. Anche se l’efficacia di questa strategia dipenderà da alcuni eventi chiave: la velocità di implementazione nel nuovo reattore sperimentale a fusione nucleare britannico; i risultati della corsa anglo-americana alla difesa spaziale; il perimetro dell’impegno militare dei Paesi dell’Anglosfera sullo scacchiere ucraino-caucasico, dato che la guerra russa contro Kiev è solo iniziata e prevedibilmente si amplierà. La geopolitica determina i rapporti di forza ed è il risultato essenzialmente della dissuasion militaire, cioè di una proiezione di potenza, la quale si esercita o non si esercita, funziona o non funziona, c’è o non c’è; un elemento che prima o dopo smaschera anche la disinformazione.
Per quanto concerne il Mediterraneo e l’Asia mediterranea, grazie alle portaerei di classe Queen Elizabeth, Londra esercita una proiezione di potenza da Tangeri all’Oceano Indiano, passando per Gibilterra, Malta, Cipro e Gibuti, avendo in mente, in particolare, l’interesse nazionale nel quadrante energetico di East Med, dove sta costruendo un asse bilaterale con Israele in prospettiva dell’accordo regionale di sicurezza militare discusso al vertice del Negev di aprile 2022, guidato proprio da Gerusalemme. L’Uk, peraltro, aveva già esteso le sanzioni alla Turchia contro la perforazione delle trivelle nel Mediterraneo orientale e va ricordato che nel Mediterraneo la flotta britannica è la seconda per capacità militare, dopo quella degli Usa.
La nuova strategia britannica crea un immediato fronte di rivalità geopolitica con la Francia. Il lavoro diplomatico del rieletto Emmanuel Macron tende a promuovere Parigi come leader nel campo della sicurezza europea, a far da guida in questo senso nell’Unione Europea, mantenendo un presidio in Africa che sarà difficile far coincidere con l’interesse nazionale italiano. La Francia rimane un player globale con una forza di deterrenza nucleare, ma con una stabilità sociale interna tutta da decifrare (come l’Italia).
Ma è la Polonia lo Stato europeo destinato a diventare interlocutore privilegiato di Uk e Usa economicamente e militarmente. La Polonia è una nazione fondamentale in ogni strategia geopolitica, perché incuneata tra Germania e Russia e, dunque, in grado di contrastare la realizzazione del terribile disegno eurasiatico dell’Heartland teorizzato da Harold Mackinder in The Geographical Pivot of History (Il perno geografico della storia), presentato il 25 gennaio 1904 alla Royal Geographical Society, e successivamente pubblicato dal The Geographical Journal. La «Gerussia» era un incubo geopolitico già nel XIX secolo.
A proposito di Israele, nella cultura politica che è alla base della costruzione di Madinat Israel, la sicurezza di quest’ultimo dipende dalla capacità di difesa dell’area compresa tra il Torrente d’Egitto e l’Eufrate, interessando sia il Libano che una parte della Siria. Dopo gli Accordi di Abramo, persino il dibattito politico-culturale in corso in Arabia Saudita favorisce un aumentato ruolo di Gerusalemme negli assetti di sicurezza del Medio oriente. Questa nuova proiezione di potenza può rappresentare la base per la normalizzazione dei rapporti con gli Stati arabi sunniti in funzione di contenimento del nemico comune, l’Iran sciita.
Il maggior fattore d’instabilità in Europa è la Germania, come nel XIX e nel XX secolo. La Westbindung fondata da Konrad Adenauer fu incentrata classicamente su sette pilastri: il rapporto di protezione con gli Usa; quello di non belligeranza con la Francia; l’adesione all’Ue; l’appartenenza alla Nato, il multilateralismo, l’imprinting culturale “renano” intrecciato al Luteranesimo come ideologia del rispetto dello Stato e delle istituzioni; il mercantilismo associato alla bassa inflazione. Il cancellierato di Angela Merkel è stato tutto sommato coerente con quello di Adenauer, ed è confermato anche dall’attuale Cancelliere Scholtz. I rapporti con la Russia, al netto della confusione che regna a Berlino, si erano deteriorati già prima dell’invasione dell’Ucraina, mentre quelli con la Cina sono solo mercantili. Non è facile destrutturare il mercantilismo tedesco, solitamente solo le guerre riescono a mitigarlo e poi esso ritorna come un fiume carsico nell’economia mondiale. Ci sarà in ogni caso una continuità politica (se reggerà l’euro come valuta), soprattutto perché i tedeschi credono molto nella disciplina e nel rigore, hanno fatto riforme strutturali trent’anni fa, posseggono la liquidità economica per rimodulare il Welfare State, vogliono guidare una sorta di blocco carolingio soprattutto sul piano della gestione finanziaria e della programmazione industriale, delegando ai francesi la guida della difesa europea dentro gli assetti Nato.
L’invasione dell’Ucraina dimostra la postura sbagliata di Henry Kissinger e valida la predizione di George Friedman: nella nuova Guerra Fredda gli Usa sono la potenza nuovamente in ascesa, mentre la Cina non ha concepito strutturalmente un nuovo ordine mondiale, non potrebbe governarlo solo con gli investimenti economici e senza «la spada», come tutti gli imperi di ogni tempo. In più, la Cina ha una narrativa culturale molto debole, che resiste solo in virtù di ingenti investimenti nella disinformazione.
Gli Usa – in attesa dell’India come futuro alleato, e con il Giappone insieme all’Anglosfera – contro la Cina e la Russia si affrontano nei Balcani, nel Corno d’Africa, nell’Ucraina allargata (verso il Caucaso) e a Taiwan. Per capire la partita a scacchi in corso, e di cui l’aggressione russa in Ucraina rappresenta solo una prima mossa, andrebbe studiato quanto Zbigniew Brzezinsk scriveva nel 1997. Le relazioni internazionali del XXI secolo sono quelle che aveva immaginato l’ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter in The Grand Chessboard (La grande scacchiera), una denuncia mackinderiana del grande disegno eurasiatico, sconfitto dalla Storia ma seduzione ricorrente che rende l’Europa un teatro di conflitti ibridi e a bassa intensità permanenti. Un destino beffardo per chi predica il pacifismo anche a costo della credibilità internazionale.
di Bepi Pezzulli e Marco Rota
Redazione
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