La Repubblica Centrafricana è un paese schiacciato in una guerra per procura tra Russia e Francia. In palio c’è una vasta sfera di influenza da riconquistare in Africa centrale e il controllo delle sue immense risorse minerarie. Ecco cosa emerge dal dossier dell’osservatorio The Sentry
In Repubblica Centrafricana ci sono milioni di civili che rischiano di morire di fame a causa delle violenze e degli scontri armati. A lanciare l’appello è stato, nei giorni scorsi, il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, Ndiaye Mankeur, attraverso un rapporto sottoposto al Consiglio di sicurezza Onu.
Stando al suo report almeno 2,6 milioni di persone, vale a dire oltre la metà della popolazione nazionale, necessitano di aiuti umanitari, stretti a tenaglia dalle tensioni intercomunitarie, dagli scontri tra gruppi armati e dagli improvvisi attacchi a scuole, ospedali e campi per sfollati interni.
Bastano pochi numeri di questo rapporto per definire i contorni di una catastrofe umanitaria che dal 2013, anno del golpe che depose l’ex presidente François Bozizé, non conosce fine. Circa 2,4 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare, e di queste 750mila si trovano in condizioni di gravissima emergenza.
Ci sono quasi 659mila sfollati interni e altri 623.909 sono stati costretti a fuggire nei vicini Camerun, Ciad e Congo. Dall’inizio del 2020 sono stati registrati 267 attacchi contro operatori umanitari che hanno provocato 2 morti e 20 feriti. Ad aggravare la situazione sono, poi, il dilagare della pandemia Covid-19 e le piogge torrenziali che limitano l’accesso, specie alle aree più remote del paese, impedendo che vi arrivino gli aiuti umanitari.
Lo studio dell’osservatorio The Sentry
A focalizzare l’obiettivo su questo paese perennemente in guerra con se stesso è un rapporto dal titolo State of Prey. Proxies, Predators, and Profiteers in the Central African Republic (Stato preda. Mandatari, predatori e profittatori nella Repubblica Centrafricana), pubblicato dall’osservatorio The Sentry e a cura di Nathalia Dukhan. Attraverso numeri e testimonianze, il documento prova a fare luce sull’evoluzione del conflitto sommerso in corso in Repubblica Centrafricana, in cui la componente delle tensioni intercomunitarie è ormai da tempo diventata uno strumento attraverso cui potenze extra continentali, in primis Russia e Francia, puntano a far valere i loro interessi economici e geopolitici.
La figura controversa del presidente Touadéra
Al centro di questo enorme caos il dossier colloca la figura, a dir poco controversa, del presidente Faustin-Archange Touadéra che sta adottando ogni mezzo a sua disposizione pur di ottenere un secondo mandato alle elezioni in programma il 27 dicembre. Il presidente ha sfruttato la pandemia per dichiarare lo stato di emergenza e per poter così posticipare il più a lungo possibile la data delle elezioni.
Nel mentre la sua cerchia di fedelissimi ha inondato di tangenti il parlamento – in totale quasi 300 milioni di franchi Cfa – per far approvare una riforma costituzionale che permettesse di estendere il mandato del presidente, tentativo poi naufragato per il no espresso dalla Corte costituzionale su pressione della Francia.
Per il lavoro sporco invece, ossia soffocare con assassini, arresti arbitrari e torture qualsiasi forma di dissenso e fronteggiare i gruppi armati avversi, Touadéra da una parte ha lasciato carta bianca a reti criminali transnazionali che hanno così potuto far lievitare indisturbati i loro traffici di oro e diamanti, droga, armi e passaporti diplomatici; dall’altra ha affidato la propria sicurezza ai contractor professionisti del gruppo Wagner collegato direttamente al Cremlino.
Da quando è salito al potere nel 2016, Touadéra ha inoltre tessuto una fitta rete clientelare concedendo incarichi governativi chiave a imprenditori stranieri a lui vicini. Tra quest’ultimi, il report segue in particolare le tracce di un uomo d’affari libanese invischiato, secondo le Nazioni Unite, in traffici di diamanti, armi e droga tra Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Liberia e Sierra Leone, e in finanziamenti a formazioni terroristiche legate a Hezbollah e al-Qaeda.
Aprendo le porte del governo a tutta questa rete di amicizie e conoscenze di interesse, Touadéra ha di fatto trasformato la Repubblica Centrafricana in uno stato canaglia che fa comodo a tanti, dentro e al di fuori dei confini nazionali.
Per tirare fuori da questo pantano il paese a niente è servito l’accordo di pace firmato a Khartoum nel 2019 tra il governo centrale di Bangui e i principali gruppi armati, sotto la supervisione della comunità internazionale. Né hanno sortito l’effetto sperato le sanzioni comminate ad alcuni dei più influenti signori della guerra locali che, con Touadéra al comando, hanno continuato a muovere indisturbati i loro affari.
Lo scontro per procura tra Mosca e Parigi
A muoversi indisturbate in Repubblica Centrafricana sono anche Mosca e Parigi, che guardano con vivo interesse alle elezioni presidenziali e legislative di dicembre. È una partita che il Cremlino, la cui influenza in questo quadrante dell’Africa è stata notevolmente indebolita con la destituzione del dittatore sudanese Omar El-Bashir nel 2019, non può assolutamente permettersi di perdere. E per questo ha schierato sul terreno il gruppo Wagner, l’agenzia di contractor guidata dall’oligarca di San Pietroburgo Evgenij Prigozhin, in stretti rapporti con Vladimir Putin.
La pedina mossa a Bangui da Prigozhin è un ex agente dell’intelligence russa, Valery Zakharov, che non solo riveste il ruolo di consigliere per la sicurezza del presidente Touadéra ma viene anche considerato l’artefice dell’accordo di Khartoum e, cosa ancora più importante per Mosca, guida ogni mossa in Repubblica Centrafrica della Lobaye Invest, società attiva nel settore minerario che negli ultimi anni ha trattato con gruppi ribelli la movimentazione di ingenti carichi di oro e diamanti.
Compito di Zakharov è stato anche quello di preparare il terreno per la rielezione di Touderà, cercando dei compromessi con le fazioni a lui ostili. E dove non è riuscito con le buone, il gruppo Wagner è passato alle maniere pesanti delegando in alcuni casi incursioni punitive a mercenari sudanesi guidati da Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman, noto come Ali Kushayb, accusato dalla Corte penale internazionale per aver guidato tra il 2002 e 2003 milizie janjaweed che hanno partecipato ai massacri del Darfur, e finito poi sotto processo al tribunale internazionale dell’Aia nel giugno del 2020.
Parigi punta a sua volta sulle elezioni, o in alternativa su un passaggio di mano del potere, per sbarazzarsi di Touderà e ristabilire al governo un uomo di sua fiducia. Secondo il report dell’osservatorio The Sentry ci sarebbe un finanziamento di 100mila dollari da parte dell’Eliseo dietro il no opposto dalla Corte costituzionale centrafricana all’emendamento per l’estensione del mandato del presidente centrafricano.
E c’è sempre l’Eliseo, con il supporto del presidente congolese Denis Sassou Nguesso, dietro gli unici candidati che potrebbero realmente competere con Touderà, vale a dire Karim Meckassoua e l’ex presidente ad interim Catherine Samba-Panza. Il fronte delle opposizioni ad oggi rimane però frastagliato, specie da quando si sono fatti insistenti i rumor di un ritorno in scena dell’ex presidente Bozizé.
Oltre che sul fronte politico, Parigi si muove anche su quello armato. Lo fa sostenendo le formazioni anti-balaka fedeli a Bozizé, ma anche gruppi filo-francesi per tradizione o alla bisogna come Fprc (Front populaire pour la renaissance de la Centrafrique), Mpc (Mouvement patriotique pour la Centrafrique), Upc (Unité pour la paix en Centrafrique), Fdpc (Front démocratique du peuple centrafricain) e 3R (Retour, réclamation et réhabilitation).
Gruppi accusati a più riprese dall’Onu di crimini di guerra e contro l’umanità, finiti a turno nel mirino sanzionatorio del Consiglio di sicurezza dell’Onu e, cosa ancor più paradossale, spesso protagonisti di scontri con contingenti della missione di pace dei caschi blu Minusca (Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation en République Centrafricaine), la stessa missione che viene supportata dalla Francia.
Quale futuro per la Repubblica Centrafricana?
Il dossier dell’osservatorio The Sentry conferma, dunque, almeno tre elementi da tenere in considerazione per una lettura del conflitto in corso in Repubblica Centrafricana. Il primo. Non si tratta né di una guerra civile su basi ideologiche e religiose tra fazioni seleka e anti-balaka, bensì ormai a tutti gli effetti di una guerra per procura tra potenze straniere.
Il secondo. Se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Unione Europea intendono incidere realmente sulle sorti di questo paese, dovranno andare oltre l’infruttuoso accordo di pace di Khartoum, assicurarsi che le prossime elezioni siano trasparenti e democratiche e, da lì, aprire una nuova fase di dialogo nazionale e regionale e porre fine alla guerra per procura tra Russia e Francia.
Terzo e più importante elemento. La comunità internazionale dovrà puntare a colpire seriamente i funzionari governativi corrotti, gli affaristi e gli intermediari locali, gli imprenditori stranieri e le reti criminali che gestiscono i traffici di oro, diamanti e altri minerali che dalla Repubblica Centrafricana e dagli altri paesi della regione raggiungono l’Europa e il resto dell’Occidente. È questa la leva da smuovere se si vuole salvare ciò che resta di questo stato ormai sull’orlo del fallimento.
Pubblicato su Nigrizia
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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