C’è un posto nel cuore della Mitteleuropa che negli ultimi anni si è trovato al centro delle vicende politiche del Vecchio Continente, un luogo simbolico dove la storia si intreccia oggi più che mai con l’attualità. Si chiama Visegrád. Da qui è partita la linea dura di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia contro Bruxelles. Temi: i migranti, il braccio di ferro sulla giustizia e lo stato di diritto, sino allo scontro sul budget e i fondi europei del piano di ripresa dal Covid. E oggi la guerra tra Russia e Ucraina e le sanzioni contro Putin.
Il premier ungherese Viktor Orbán guida il fronte di questi quattro Paesi che vogliono cambiare l’Ue, limitandone il raggio d’azione per custodire la sacralità della sovranità nazionale. La loro politica «ribelle» contagia e infiamma già minoranze rumorose nel resto d’Europa, che al tribuno ungherese e alla fierezza identitaria polacca guardano con ammirazione.
Questi i temi al centro del nuovo saggio Ribelli d’Europa. Viaggio nelle democrazie illiberali da Visegrád all’Ucraina del corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa Alberto Simoni, dal 17 giugno in libreria e negli store digitali, con una prefazione di Paolo Valentino.
Un libro – spiega l’autore nel prologo – nato «il giorno in cui ho deciso che avrei intervistato Viktor Orbán. Ho cominciato a studiare il personaggio, a immergermi nella storia dell’Ungheria, a sfogliare riviste, a consultare libri, a contattare esperti, reduci del 1989, vecchi amici e nuovi avversari, politici, diplomatici, analisti; sono andato tante volte a Budapest dove in realtà ho finito per essere più attratto dal goulash di un ristorante sulla collina di Buda che dalla ricerca. Ma tant’è.
Anche lo stinco polacco ha avuto quasi la stessa forza attrattiva nelle varie tappe in quella bellissima terra. Volevo capire se l’idea di Europa del premier magiaro, un radicale anti-comunista negli anni Novanta diventato poi un picconatore dei valori della liberal-democrazia, fosse espressione di un pensiero diffuso nel Paese, o più semplicemente un escamotage per far credere a una Nazione di poco meno di dieci milioni di anime di poter tener testa ai grandi dell’Unione europea. Quasi un anno dopo la nascita di questa folle idea, stringevo la mano a Viktor Orbán nella Biblioteca dei Carmelitani nel palazzo del governo a Budapest».
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Redazione
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