Fermare la corsa al rialzo dei prezzi, per garantire stabilità e crescita sostenibile. È questo lo scopo dell’accordo raggiunto tra Russia e i paesi dell’Opec il 30 novembre scorso a Vienna. In quella sede, si è stabilito che la produzione petrolifera non dovrà superare i 32,5 milioni di barili al giorno, mantenendo cioè il limite fissato nel novembre di un anno fa, poi prolungato fino al marzo 2018, che riduceva la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno. Un tetto che ora sarà mantenuto sino alla fine dell’anno che arriva.
L’accordo giunge salvifico per le economie di Russia e Arabia Saudita, quest’ultima vero dominus dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, dopo che la strategia adottata negli ultimi anni per competere con lo Shale oil americano era fallita miseramente. Nel 2014 Riad, preoccupata che gli Stati Uniti potessero raggiungere l’indipendenza energetica attraverso il sistema del fracking – che permette di estrarre idrocarburi più in profondità e più agilmente dalle rocce da scisto – aveva deciso di abbassare drasticamente i prezzi del petrolio, aumentandone la produzione nella speranza di danneggiare il balzo in avanti di Washington e frenare il rilancio energetico americano.
Ma questa strategia non ha funzionato e gli Stati Uniti hanno comunque sfiorato l’autosufficienza, evitando che i loro operatori fallissero a causa dei prezzi bassi. Solo poche industrie estrattive sono andate all’aria, ma il sistema complessivo ha tenuto e oltretutto sono partiti nuovi investimenti nel settore, che l’America di Donald Trump punta ora a mettere in sicurezza.
Perché la Russia ha bisogno di un accordo di Riad
L’abbassamento dei prezzi degli ultimi anni – precipitato dai 106 dollari al barile del giugno 2014 ai 40 dello stesso periodo del 2015, con un crollo giunto fino a 25 dollari – ha messo in pericolo anche l’economia russa, che dipende quasi interamente dall’energia. Le casse dello stato nel 2015 si stavano infatti svuotando e il paese rischiava seriamente il default. Questo ha costretto il Cremlino a virare verso una politica di austerità che ha messo a dura prova il bilancio statale e il benessere dei cittadini. Mosca ha reagito aumentando le vendite in Europa e puntando sui nuovi mercati orientali di Cina, India e Giappone, dove ha previsto di sviluppare nuove reti, soprattutto per il trasporto del gas. Così, la limitazione delle quote Opec è stata la decisione più saggia da prendere, per non dare ulteriori choc al mercato energetico.
Dunque, nell’incontro tanto discusso tra Vladimir Putin e il re Salman dello scorso ottobre si è parlato di questo, cioè di geo-economia, e non invece della geopolitica del Medio Oriente, dove invece i due paesi hanno visioni diametralmente opposte e sono competitor in tutto e per tutto. Ma nel paese che ha studiato a fondo il pensiero di Karl Marx è cosa nota che senza i petrodollari non si fa politica in quella parte di mondo. Così, si è giunti piuttosto agilmente a un accordo di vertice, che serviva a entrambi i paesi.
Il piano di Bin Salman
Anche perché l’Arabia Saudita ha in progetto di varare “Vision 2030”, una strategia economica che possa rilanciare Riad e che punta a diversificare la sua economia, in modo da potersi affrancare dalla pericolosa mono-dipendenza del paese dal petrolio, i cui rischi d’instabilità nel lungo termine potrebbero rivelarsi fatali. Non solo, il principe ereditario Salman ha intenzione di privatizzare a breve la società di stato Aramco, cioè la più grande compagnia petrolifera al mondo, quotandola sul mercato. Ma per fare in modo che l’operazione si riveli vincente, ha bisogno che i prezzi salgano, perché questo aiuterebbe moltissimo la quotazione in borsa. In caso contrario, si sommerebbero solo problemi. L’accordo con l’Opec va in questa direzione e aiuta la politica energetica saudita. Un po’ meno quella russa, visto che Salman spera di quotare la società a Wall Street, per la gioia di Donald Trump. Con il quale, infatti, i rapporti sono sempre più cordiali.
Alla Russia, perciò, non resta che continuare a guardare al mercato orientale e puntare ancora sull’Iran, emerso come principale potenza regionale dal conflitto in Siria e Iraq, un’area strategica per il mercato energetico dove – con grave disappunto di Riad – si è appena aperto un corridoio di alleati del Cremlino e tale da garantire interessanti sviluppi economici lungo l’asse Teheran, Baghdad, Damasco, Beirut. Dunque, Russia e Arabia Saudita pur mantenendo interessi in comune tali da rendere necessari accordi come quello di Vienna, rimangono politicamente molto distanti. Il che potrebbe anche riaprire a una fase d’instabilità, meglio però rimandarla a dopo il 2018.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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