L’ascesa politica di Putin inizia nel 1999, quando, dopo essere stato nominato deputato, viene eletto primo ministro dall’allora presidente Boris Yeltsin. Vladimir Putin si laurea in Diritto Internazionale e si forma nel KGB, i servizi segreti russi, dopodiché si occupa delle relazioni con l’estero per l’allora sindaco di San Pietroburgo, Anatoli Sobchak. Intorno alla fine degli anni Novanta arriva a Mosca e viene nominato da Boris Yeltsin capo di diverse delegazioni e commissioni e successivamente dell’FSB, il servizio segreto russo erede del KGB. Contrariamente ai due precedenti primi ministri icaricati da Yeltsin, Vladia riesce a mantenere l’incarico sino a fine anno. Quando Boris Yeltsin si dimette da presidente della Federazione Russa il 31 dicembre del 1999, Putin, calatosi silenziosamente nella realtà politica russa e diventato Presidente ad interim, sfrutta il momento e si candida alle elezioni presidenziali. Comincia in questo modo la prima decade del ventennio Putin.
Putin vince le elezioni presidenziali, e le vince ancora nel 2004. Secondo la Costituzione, il secondo doveva essere il suo ultimo mandato presidenziale perchè il documento prevedeva l’impossibilità di intraprendere più di due mandati consecutivi. Ma la storia è andata in modo diverso. Il desiderio di continuità politica ha portato Putin a modificare sostanzialmente la Costituzione. Nel 2008, a conclusione del secondo mandato presidenziale iniziato nel 2004, Putin ha strategicamente supportato l’elezione di Medvedev, figura politica a lui affine, tenendo per sé la carica di primo ministro. In questo breve periodo di pausa per Putin dalla carica presidenziale, Medvedev ha rispettato le visioni politiche di Vladia, salvo sulla guerra in Libia del 2011, tanto che quegli anni vengono definiti “governo tandem”. A questo punto, dopo la modifica costituzionale che estese il mandato presidenziale a 6 anni, nel 2012 Putin viene elettto Presidente, la carica gli viene confermata nel 2018.
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Recentemente Putin ha proposto una riforma costituzionale che punta ad accrescere i poteri del Parlamento e del Governo, sottraendoli alla figura presidenziale. Questa strategia risulta funzionale ai piani del Presidente, configurando la possibilità per Putin di restare al potere ancora in futuro pur non ricoprendo il ruolo di Presidente. Dopo l’annuncio di Putin di voler modificare ancora una volta la Costituzione, Medvedev si è dimesso da primo ministro, insieme al resto del Governo. L’alleato del Presidente è stato subito rinominato vicecapo del Consiglio di Sicurezza. Per quanto riguarda il nuovo primo ministro, Putin ha scelto una figura su cui non sembrano concentrarsi influenze politiche divergenti e non blasonata: Mikhail Mishustin. Tutto questo è coerente con il piano di modifica costituzionale proposto da Putin, piano mascherato da riforma democratica, la cui approvazione sarà sottoposta a referendum popolare, come ha spiegato il capo del Cremlino.
I momenti segnanti e la politica estera
L’inizio del ventennio è pieno di difficoltà: dopo il disastro dell’affondamento del sottomarino a propulsione nucleare Kursk del 2000, che mise a dura prova la figura del neoeletto presidente generando un coro di critiche sulla gestione della crisi, Putin deve presto adottare il pugno di ferro. Nel 2002, un commando di miliziani ceceni prende in ostaggio 912 persone al teatro Dubrovka a Mosca. Il sequestro del teatro termina dopo tre giorni, con l’intervento delle forze russe, ma 129 ostaggi restano uccisi. Per Putin è «il momento più difficile della mia storia politica». Il secondo mandato (2004-2008) non è esente da problemi per il Presidente, la cui figura però viene rafforzata dalla ripresa economica del paese, di cui Putin è fautore. Nel 2004 i terroristi ceceni si rendono protagonisti di un nuovo sequestro, a Beslan. Su 1000 ostaggi, 334 perdono la vita, in particolare bambini.
La Cecenia rimane il tallone d’achille della prima decade marchiata Putin: il 7 ottobre del 2006 Anna Politkovskaya, giornalista del Novaya Gazeta viene uccisa nel suo condominio per le inchieste sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Il Cremlino nega ogni conivolgimento, le responsabilità dell’omicidio della giornalista vengono determinite nel 2014 ma restano forti dubbi sul ruolo dei servizi segreti nella vicenda. Nello stesso ottobre 2006 l’ex agente segreto dissidente Litvinenko muore per avvelenamento da polonio radioattivo, dopo essere diventato antagonista del Cremlino. In questa indagine, stavolta condotta dalle autorità britanniche, viene provata la responsabilità dei servizi segreti russi. Una volta sistemate le questioni interne più importanti, Putin si concentra su ciò che circondava la sua Federazione.
Il famoso discorso di Monaco del 2007 di Putin complica le relazioni con l’Occidente e con esso inizia una nuova era: quella della Grande Russia. Nel 2008 Putin non può ricandidarsi, ma facilita la risalita al potere del suo fidato Medvedev, allora primo ministro. Con l’operazione “arrocco” avviene lo scambio delle poltrone tra i due, secondo un meccanismo apparentemente democratico. Durante la presidenza Medvedev, nel 2008 la Russia invade e vince sulla Georgia (Seconda Guerra in Ossezia del Sud) in una guerra lampo che consegna alla Federazione il protettorato delle neo-indipendenti regioni dell’Ossezia del Sud e Abcasia. Putin e Medvedev nel 2012 si scambiano di nuovo le poltrone, ma stavolte la società russa insorge.
Le mire espansionistiche del Cremlino si placano fino al 2014, quando le forze russe annettono la penisola ucraina della Crimea, garantendo l’annessione dei territori con un referendum non riconosciuto dal governo ucraino. Lo stesso anno la Russia si impegna sul fronte est-ucraino, in un conflitto contro le forze locali a sostegno della indipendenza in Donbass. Con l’elezione del nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy, il conflitto, non ancora risolto, sembra tuttavia volto alla sua risoluzione.
L’impegno russo in politica estera prende forma anche in Medio Oriente, quando Putin decide di sostenere Bashar Al Assad nella guerra in Siria.
Con il quarto mandato, iniziato a marzo del 2018, si torna a respirare il clima anti-Putin nella Federazione: le strade di Mosca si riempiono di manifestanti in rivolta contro le autorità, dopo che queste hanno negato la candidatura alle elezioni municipali a diversi membri dell’opposizione politica. Il 2019 di Putin si conclude con uno smacco: la WADA bandisce la Federazione russa per quattro anni dalle maggiori competizioni sportive internazionali, Olimpiadi incluse.
Entrambi le decadi sono state caratterizzate da una importante campagna nel campo delle relazioni internazionali, al punto da mettere le politiche interne in secondo piano. Ciò nonostante, Putin ha saputo rialzare l’economia russa, a brandelli dopo l’esperienza sovietica e la presidenza Eltsin.
Nella zona balcanica il potere contrattuale russo è dettato da Gazprom e dai gasdotti da cui dipendono i paesi limitrofi. Inoltre, la Russia ha venduto sistemi avanzati di difesa aerea alla Turchia, membro della NATO, e ha raggiunto importanti accordi in armi e petrolio con un alleato chiave degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, così come con il Venezuela.
La Russia è una potenza in Medio Oriente e nel Mediterraneo, un ruolo rafforzatato anche dalla presa in carico delle basi americane. Mosca, inoltre, si sta espandendo in Africa. Dopo il primo storico incontro dell’asse Russia-Africa, avvenuto a Sochi il 23 e 24 Ottobre 2019, la Russia ha iniziato ad investire nella regione, specialmente nel settore energetico. Il repentino interesse della Federazione in Africa disturba i piani della Cina. Inoltre, la Russia è a conoscenza dei finanziamenti fatti da Pechino in Africa, anche in ottica Belt and Road, e vuole evitare una totale influenza cinese nel continente. I rapporti sino-russi sono stati approfonditi: i due paesi hanno stretto accordi che li proiettano verso il raddoppio del volume di scambio commerciale entro il 2024. Ciò nonostante, le due nazioni non sono da considerare “partner” e non alleati, in base a un interesse reciproco motivato dal desiderio di contrastare lo strapotere americano.
Il rapporto di Putin con gli Stati Uniti non è sempre stato tumultuoso come ora. Nei primi anni del 2000, Putin non vedeva gli Stati Uniti come un problema, né riteneva che la NATO fosse il meccanismo americano volto ad estendere l’unipolarismo nelle relazioni internazionali. Putin infatti disse di non essere «preoccupato per l’espansione della NATO». ll distacco si è verificato a causa di diversi eventi accaduti in Russia, a partire dall’assedio di Beslan, nella repubblica semi-autonoma dell’Ossezia. L’assedio portò Putin a sospendere le elezioni locali e a scegliere personalmente i governatori regionali. Le “rivoluzioni colorate” in Georgia e Ucraina lo indussero ad accusare l’Occidente di ingerenze negli affari dei paesi vicini e di voler fomentare il sostegno ad “ideali pericolosi”. La violazione dei diritti umanitari in Cecenia e il supporto militare in Siria e poi in Libia ha complicato le relazioni con l’Occidente. All’inizio del mandato Trump si era prefissato di rinnovare e migliorare i rapporti con il Cremlino, ma le indagini dell’FBI sulle interferenze russe nelle elezioni americane hanno gelato le relazioni istituzionali.
L’economia della Russia
Per quanto riguarda gli affari domestici, bisogna riconoscere a Putin la capacità di aver ricostruito economicamente il paese. A prova di ciò, il Pil nominale della Russia nel 2018 ammontava a 1.3 trilioni di dollari, mentre nel 2000 ne contava solo 259 miliardi. Il sostanziale miglioramento dell’economia russa è legata all’industria energetica e ai nuovi giacimenti trovati. Ciò nonostante, la fragilità economica permane tutt’oggi, viziata anche dalle pesanti sanzioni economiche che la Russia sta scontando per l’invasione dell’Ucraina. La Russia, cacciata dal G7, non rientra fra i primi 10 paesi al mondo per il proprio Pil e resta un paese con un enorme divario economico. L’1% della popolazione controlla intorno al 75% delle ricchezza totale del paese, mentre 1 russo su 8 vive a ridosso della soglia della povertà, con meno di 200 dollari al mese.
L’espansionismo russo non si è tuttavia tradotto in un successo per l’economia, lasciando le classi sociali polarizzate. L’economia russa è in stallo da diversi anni, ma ha saputo reagire alle sanzioni internazionali e alle crisi finanziaria. Ora Mosca, a rischio recessione e in difficoltà a causa dell’indebolimento della valuta domestica, cerca di evitare la stagnazione economica puntando sull’oro, a breve termine, e a politiche riformatrici, sul lungo termine. Vitale per la Russia sarà l’innovazione tecnologica e una maggiore attenzione al settore ricerca e sviluppo, coadiuvato da una più forte diversificazione del mercato. Infine, per attrarre investimenti stranieri, il governo dovrà impegnarsi ad estirpare la corruzione, che allontana la maggior parte degli investitori esteri. Passi positivi sono stati fatti per arginare gli effetti della volatilità del prezzo del petrolio. Al momento però, lo sforzo speso per assicurare stabilità finanziaria toglie eventuali possibilità di finanziamento nel settore della ricerca e dello sviluppo. Oltre alla stagnazione economica, Putin ha fronteggiato il fallimento della riforma del sistema pensionistico, che ha sensibilmente diminuito il consenso popolare del suo partito, Russia Unita.
Libertà di espressione
Nessun segnale di miglioramento per la libertà di espressione, di pensiero politico e del rispetto di alcuni diritti fondamentali. La repressione politica e la propaganda attiva durante il ventennio Putin non sono argomenti nuovi. Le morti illustri che hanno accompagnato la storia recente del Paese dal 2006 in avanti, con il caso Politkovskaya, hanno intensificato i dubbi sulla gestione di Putin degli affari interni.
L’attività di opposizione politica, condizione necessaria in una democrazia, non è garantita né facile da applicare. Nel 2003 Putin e Russia Unita riescono ad allontanare Mikhail Khodorkovsky dalla politica con l’accusa di frode. L’oligarca oggi simbolo della dissidenza era, nei primi anni 2000, l’uomo più ricco di Russia grazie alla sua compagnia petrolifera, Yukos.
L’egemonia di Russia Unita durante questi 20 anni è un campanello d’allarme per la libertà politica russa. La società è rassegnata allo strapotere del “partito del Presidente”. Il partito comunista, che dovrebbe essere il primo oppositore di Russia Unita, ha modificato il suo atteggiamento e cerca di tenersi stretto l’accesso al Parlamento. Scarsa la possibilità di un cambiamento, dato anche il ristretto numero di partiti che supera la soglia di sbarramento, mentre il consenso popolare di Russia Unita si attesta intorno al 50%.
Putin ha conseguito un livello di centralizzazione del potere a dir poco autoritario. Il Presidente ha ristretto l’autonomia delle regioni, intrappolandole in una gerarchia piramidale dove le responsabilità sono sempre delegate ai piani alti. Putin gestisce elemento dei meccanismi di Stato, in un regime anche definito come “democrazia controllata”. La sfida politica in Russia è pressoché impossibile: il candidato oppositore viene di norma discreditato dai media, perseguitato giudiziariamente e, ove necessario, eliminato. Questi metodi sono sicuramente fattori che influenzano l’affidabilità della Russia, sia economicamente che politicamente.
PHOTO: March 2013, Putin frolics in the snow with his dogs Baffi and Yuna, Kremlin
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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