In questo 2020 pieno di sorprese, Mosca non perde i suoi punti fissi. Li riprogramma. Ma la forza espressa nella parata militare alla Piazza Rossa sembra non rispecchiare l’attuale condizione del governo, notevolmente indebolito dal virus. Ciò nonostante, Putin prosegue per la sua strada, comportandosi come se la pandemia non esistesse e continuando il percorso verso le modifiche costituzionali da lui tanto auspicate.
La Russia quest’anno, il 9 maggio, avrebbe dovuto celebrare i 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ovvero, quando nel 1945 l’Unione Sovietica contribuì in maniera fondamentale alla resa nazista. O meglio, in questa giornata del ‘45, il maresciallo Georgij Zhukov, comandante del Primo Fronte bielorusso che si trovava a Berlino, ricevette la richiesta di resa incondizionata tedesca.
L’emergenza pandemica non ha risparmiato l’anniversario, costringendo il Governo a posticipare l’evento al 24 giugno. La data non è stata scelta per caso, ma corrisponde all’anniversario della prima vittoria staliniana contro l’armata nazista. La Giornata della Vittoria, così viene chiamata la ricorrenza annuale, è stata una celebrazione abbastanza sentita nella storia russa. Questa, infatti, viene istituzionalizzata con Breznev negli anni Sessanta e viene interrotta solo con la caduta del regime sovietico, per poi essere reintrodotta nel calendario istituzionale da Yeltsin nel 1995.
La parata è stata, come sempre, una vetrina della forza militare russa. La ricorrenza è stata celebrata in tutta Russia, ma l’evento più importante si teneva nella capitale. Allo spettacolo hanno sfilato i carri armati, le truppe nazionali e internazionali, principalmente provenienti dall’Asia. Non è mancata la presenza aeronautica, capitanata dagli intercettori MiG-31, tra i veicoli più avanzati a disposizione del Cremlino e potenzialmente letali grazie ai missili Kinzal ipersonici. Nel complesso, si parla di più di 13.000 truppe, 234 veicoli corazzati e 75 aerei.
L’insistenza con la quale si è voluta riorganizzare la parata è indice di una volontà che va ben oltre quella di celebrare i veterani e la vittoria sovietica. Il Presidente Putin sta vivendo uno dei periodi più bui del suo ventennio al Cremlino e necessita del sostegno dell’opinione pubblica per poter finalizzare le modifiche costituzionali che gli permetterebbero di rimanere al comando fino al 2036, potenzialmente. Senza i necessari emendamenti, il suo attuale mandato, che scadrà nel 2024, sarebbe l’ultimo, non potendo permettersi ulteriori candidature. Il voto sulle modifiche costituzionali avverrà a luglio, essendo stato spostato da aprile a causa della pandemia.
Al momento Putin ha il 59% di consensi, il minimo dal 1999, anno della suo prima elezione da primo ministro. La causa principale di questo declino può essere trovata nella crisi generata dal coronavirus. Mosca nell’ultimo periodo ha avuto difficoltà a gestire i suoi incidenti ambientali che, in casi come quello in Siberia, hanno causato dei veri disastri. Il lockdown ha permesso alle persone di ragionare sulla propria libertà di individui.
Il Presidente russo non è mai stato visto vacillare così fino ad ora. La grave crisi ha colpito il paese, rendendolo terzo nella scala mondiale per numero di contagi. Quando la situazione è diventata più critica e il numero di contagi non poteva più essere riportato con dati così bassi, Putin ha dato idea di non avere il controllo della situazione. Una possibilità alla quale la Federazione non è mai stata pronta. Putin ha promulgato decreti legge confusi, ha delegato decisioni chiave ai governatori regionali e ha lottato per settimane per far sì che i funzionari locali pagassero i bonus che aveva promesso agli operatori sanitari. Come riportato da Alexei Navalny, politico russo e attivista anticorruzione: «L’ imperatore si è rivelato senza vestiti. […] Coloro che cercavano e speravano in un qualche tipo di ordine hanno visto un caos colossale, una mancanza di aiuto e una totale follia».
A fronte di ciò, la gente non è più in grado di fidarsi di Putin. E questa situazione si è di fatto riproposta nel campo delle relazioni internazionali, come testimoniato recentemente in occasione della Giornata della Vittoria. Molti leader stranieri, infatti, hanno scelto di non partecipare all’evento riprogrammato. Ciò nonostante, alla parata erano presenti i fedelissimi leader di diversi ex stati sovietici, tra cui il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, noto scettico del coronavirus.
Dubbi leciti, tenendo anche conto che la parata di Mosca si è svolta nella totale trasgressione delle norme anti-Covid 19. Ma a proposito dei militari sprovvisti di mascherina, il Cremlino ha assicurato che, nel periodo precedente alla parata, questi hanno vissuto in isolamento. Mentre tramite le fonti di BBC, è stato reso noto che tutti gli invitati presenti si sarebbero sottoposti ad un test per il coronavirus. L’inaffidabilità sistematica russa, insieme al declino nei consensi del presidente, sembrano essere i primi segni di debolezza del gigante Vladimir.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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