In sole 48 ore le milizie Houthi hanno commesso 241 violazioni dell’accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 9 aprile. È l’accusa rivolta ai ribelli da parte della Coalizione a guida saudita che pochi giorni fa aveva annunciato un cessate il fuoco di tre settimane in Yemen.
La Coalizione ha affermato che le violazioni includono attacchi militari con armi leggere e pesanti e missili balistici. In una nota, ha ribaduto che le forze dell’esercito nazionale yemenita stanno invece rispettando il cessate il fuoco.
Lo Stato maggiore dell’esercito yemenita regolare ha affermato: «Stiamo applicando il massimo autocontrollo quando si tratta delle regole di ingaggio, riservando il diritto legittimo di rispondere in casi di autodifesa sulla prima linea del fronte». Il portavoce della Coalizionea guida saudita, il colonnello Turki al Maliki, aveva annunciato mercoledì 8 aprile un completo cessate il fuoco nello Yemen per due settimane come parte degli sforzi per combattere la diffusione del coronavirus.
Il 5 aprile, i ribelli Houthi avevano lanciato missili contro il carcere femminile nella provincia di Taiz, controllata dal governo. L’attacco ha ucciso cinque donne e ne ha ferite altre venti, tra cui quattro bambini che stavano con le loro madri all’interno delle strutture detentive. Abdel Baset al-Bahar, vice portavoce dell’esercito nazionale dello Yemen a Taiz, aveva dichiarato: «Gli Houthi hanno preso di mira la prigione centrale di Taiz con artiglieria pesante. E’ un attacco criminale e pericoloso». Il Primo Ministro yemenita, Maeen Abdulmalik Saeed, in una nota aveva definito l’attacco alla prigione «la prova dell’aggressione e dei massacri degli Houthi». Mohamad al-Bukhaiti, un membro dell’ufficio politico degli Houthi, aveva riportato all’emittente televisiva Al Jazeera «di non aver ancora informazioni sull’attacco», rifiutandosi di aggiungere altro.
L’attacco alla prigione ha spinto il presidente dello Yemen Abd-Rabbu Mansour Hadi a ordinare il rilascio dei prigionieri che devono scontare pene per reati minori. Al conflitto in Yemen tra i ribelli e il Governo si sovrappone lo scontro tra due nazioni rivali in Medio Oriente, l’Iran e l’Arabia Saudita. Teheran appoggia gli Houthi, sciiti, mentre Riad sostiene le forze di Hadi, sunnita. Nella guerra sono coinvolti anche gli Emirati Arabi Uniti, vicini ai sauditi.
Gli Stati Uniti avevano esortato le forze ribelli Houthi ad aderire al cessate il fuoco annunciato unilateralmente dall’Arabia Saudita. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva invitato gli Houthi a concedere un gesto simile a quello di Riad. Al momento, tuttavia, i ribelli hanno respinto l’iniziativa bollandola come una “manovra politica filo saudita”. Il segretario delle Nazioni Unite aveva chiesto un cessate il fuoco globale per consentire sforzi più mirati contro la pandemia.
L’Arabia Saudita ha investito grandi risorse economiche nella guerra in Yemen. Il suo obiettivo era stroncare l’insurrezione degli Houthi ed evitare che il Paese si trasformasse in un alleato dell’Iran, ma si è ritrovata immersa in un conflitto dispendioso, lungo e che ancora oggi non sembra trovare soluzione e conclusione. Per queste ragioni è evidente che Riad sia la più interessata alla fine dei combattimenti. L’annuncio del cessate il fuoco aveva fatto sperare in una possibile pace. Ma, secondo il governo yemenita, i ribelli non hanno un serio interesse alla fine delle ostilità.
Sul fronte coronavirus, secondo il Ministero della Sanità yemenita e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci sono ancora casi confermati di contagio nel Paese. In Yemen mancano le provviste essenziali per affrontare l’emergenza coronavirus e senza un’azione comune e sinergica sul territorio, il paese sarebbe facilmente travolto se colpito dal virus.
16 March 2019, Yemen, Sanaa: Houthi rebel fighters hold their weapons during a gathering aimed at mobilizing more fighters before heading to battlefronts. Photo: Hani Al-Ansi/dpa
Domenico Letizia
Giornalista, membro di redazione della rivista di geopolitica e affari internazionali “Atlantis”. Speaker radiofonico di “RadioAtene”. Membro del Consiglio Direttivo della ONG "Nessuno tocchi Caino". Ha scritto vari saggi sulla Repubblica di Azerbaigian, sulla Moldova e sulla cooperazione alimentare nel Mediterraneo.
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