Si chiama Armin Alibašić il 21enne terrorista islamico arrestato in Serbia qualche giorno fa poco prima di attentare alla vita del Presidente russo Vladimir Putin. Armin Alibašić è stato fermato nella sua casa di Potok, villaggio nei pressi di Novi Pazar che fa parte della municipalità del distretto di Raška (regione del Sangiaccato Serbia Centrale) proprio ai confini con il Kosovo. Più che casa sarebbe corretto definirla deposito di armi e ordigni esplosivi visto quanto rinvenuto all’interno della sua abitazione.
La notizia è stata diffusa dall’agenzia di intelligence serba Bezbednosno-informativna agencija (BIA), che nel suo rapporto scrive: “Armin Alibašić è stato fermato da una pattuglia della polizia nel villaggio di Potok, non lontano da Novi Pazar. L’attenzione della polizia è stata attratta dallo zaino di un giovane uomo. Di conseguenza, è stato rilevato un fucile con mirino ottico. Di seguito è stata perquisita la sua abitazione dove è stato rinvenuto un arsenale di armi e tutti i componenti necessari per la fabbricazione di un ordigno esplosivo, così come i simboli dell’ISIS”.
Il 21enne Armin Alibašić molto probabilmente aveva dei complici che al momento non sono ancora stati identificati, ma è certo che frequentasse gli ambienti dell’islam wahaabita-salafita che abbondano nella regione. Dai Balcani sono infatti partiti per il Siraq più di 800 combattenti, molti dei quali sono ancora impegnati a difendere le ultime roccaforti dell’ISIS. Per comprendere meglio quanto accade nei Balcani abbiamo chiesto un parere a Giovanni Giacalone, analista dell’Istituto Itstime dell’Università Cattolica di Milano e autore del libro La Spirale Balcanica.
Qual è la situazione nella Serbia Centrale e in particolare nel Sangiaccato?
Il Sangiaccato resta ancora oggi senza ombra di dubbio una delle zone più a rischio per quanto riguarda la radicalizzazione islamista nei Balcani. Basti pensare che gran parte dei circa 40 foreign fighters partiti dalla Serbia per unirsi ai jihadisti in Siria provenivano da questa zona o dalla vicina valle di Presevo. Va tenuto ben presente che parliamo di un’area caratterizzata da una difficile situazione socio-economica, con un elevato tasso di disoccupazione giovanile, dove la sfiducia nei confronti delle istituzioni è diffusa; tutti elementi che favoriscono l’infiltrazione dell’ideologia wahhabita-salafita, come già visto in scenari limitrofi come quello kosovaro, albanese e bosniaco. I predicatori jihadisti sono infatti maestri nel far breccia in tali contesti. L’arresto di Alibasic mette in evidenza alcuni aspetti da tenere bene a mente: il fatto che l’Isis sia stato pesantemente ridimensionato in Siria (non ritengo attualmente opportuno utilizzare il termine “sconfitto”) non implica che i jihadisti non siano in grado di colpire altrove. Il jihadismo è per sua natura fluido, mutevole e sa adattarsi e plasmarsi a seconda delle situazioni che man mano vengono a crearsi, è uno dei suoi punti di forza e l’allerta deve dunque restare alta.
Perché l’obiettivo del tentato attentato di Armin Alibašić sarebbe stato proprio Vladimir Putin?
La Russia di Putin è attualmente il principale nemico di ISIS e Al Qaeda in quanto Mosca , con il suo intervento militare partito nel settembre del 2015 in Siria, ha di fatto schiacciato i jihadisti, contribuendo all’attuale svolta del conflitto. Le aree periferiche di Serbia, Bosnia, Albania, Kosovo e Macedonia restano un focolaio per la radicalizzazione islamista nei Balcani e un trampolino dal quale lanciare attacchi, a prescindere dallo stato di salute dell’ISIS in Siria.
Dei Balcani si parla solo quando accade qualcosa, anche se è noto che non si arrestano le attività degli estremisti che sono finanziati da privati cittadini e fondazioni alquanto “sulfuree” dei Paesi del Golfo Persico. Cosa sta accadendo nell’area ? Chi finanzia i terroristi?
Una lunga fase di “silenzio” da parte dei jihadisti non deve trarre in inganno e far abbassare la guardia, tutt’altro. I Balcani sono terra di conquista per ambiti islamisti turchi e qatarioti (legati ai Fratelli Musulmani) nonché per il wahhabismo di stampo saudita. Non dimentichiamo che lo scorso maggio Erdogan ha tenuto un gigantesco comizio elettorale a Sarajevo e stime riferivano di almeno 22mila persone presenti. Sempre in Bosnia vengono costantemente segnalate nuove moschee e centri culturali di stampo wahhabita e persino zone abitate esclusivamente da personaggi con lunghe barbe accompagnati da donne con il velo. Non serve andare in aree remote, basta recarsi nei pressi della grande moschea “Re Fahd” di Sarajevo per rendersene conto. I canali di finanziamento sono poi un tassello fondamentale nella lotta alla radicalizzazione; diverse associazioni e luoghi di culto ricevono fondi provenienti da “fonti” quantomeno dubbie ed è li che bisogna lavorare ed eventualmente troncare.
Qual’è il Paese balcanico più esposto al fenomeno dell’estremismo islamico ?
Lo sono tutti in un modo o nell’altro: Albania, Kosovo, Macedonia, Bosnia e regione del Sangiaccato. Non credo che tra i Paesi citati ce ne sia uno più esposto di altri e non dobbiamo commettere l’errore di valutare il livello di rischio solo in base al numero di foreign fighters partiti (penso al Kosovo che ha il più alto numero di jihadisti partiti in rapporto alla popolazione). I fattori sono molti: dalla capacità d’infiltrazione del radicalismo di stampo islamista in loco, sia sul piano ideologico che economico, all’apertura da parte delle istituzioni locali nei confronti di attori religiosi e politici esteri ricollegabili a tale ideologia. Come già precedentemente detto, l’estremismo islamista e il jihadismo sono per loro natura fluidi e plasmabili; il contesto balcanico è tutt’altro che stabile e in frequente mutamento ed evoluzione, tutto ciò rende il quadro estremamente complesso e imprevedibile.
Chi sono oggi i predicatori salafiti più influenti ?
Difficile dire chi sia il predicatore più influente; una volta nei Balcani le figure di riferimento erano più o meno sempre le stesse: avevamo il filone bosniaco legato a Bosnic, Imamovic, Porca, lacosiddetta “eredità della guerra di Bosnia” e tutto il filone di etnia albanese con Genci Balla, Bujar Hysa, Rexhep Memishi, Shefqet Krasniqi, giusto per citarne alcuni. Oggi la situazione è cambiata e ci troviamo in una nuova fase con numerosi predicatori, nuovi e molti noti soltanto a livello locale, ma che riescono comunque ad avere un’influenza notevole sui giovani balcanici, non soltanto nei loro Paesi ma anche tra quelli facenti parte della diaspora europea. Molti di questi predicatori sono attivi tramite web, pagine Facebook, gruppi Telegram. Mi viene da pensare al detto “non preoccupatevi del messaggero ma del messaggio” e credo che rispecchi perfettamente questa nuova fase nella quale è il “messaggio jihadista” che riesce a diffondersi il problema reale, a prescindere da chi sia il predicatore di turno che lo espone; del resto, una volta tolto di mezzo un predicatore ne arrivano altri due e continuerà ad essere così finche tale meccanismo verrà alimentato, non solo ideologicamente ma soprattutto finanziariamente.
Si registrano ancora della partenze per il “Siraq”dai Balcani ?
Il problema attuale non è tanto quello delle eventuali partenze (le cui stime sono comunque a livelli minimi se non nulli, almeno secondo i dati ufficiali) ma piuttosto il possibile rientro di jihadisti da quelle zone di guerra. Aggiungo, non soltanto “foreign fighters di ritorno” ma anche jihadisti che tentano di infiltrarsi tra i flussi di migranti sulla rotta balcanica ma anche su quella mediterranea. Occhio anche alla diaspora balcanica presente in Europa, dove i predicatori di odio puntano da sempre.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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