Dell’ex leader del dissolto gruppo salafita belga Sharia4Belgium Fouad Belkacem, alias Abu Imran, da tempo non si avevano più notizie. L’ultima era stata quella del suo matrimonio in carcere (inizialmente non consentito dalle autorità per motivi di sicurezza), celebrato nel giugno del 2017 con una connazionale belga-marocchina, madre dei suoi quattro figli.
Trentacinque anni, un passato da venditore di auto usate prima e di trafficante di droga poi, Belkacem si era autoproclamato imam e per anni con i suoi sermoni era riuscito a convertire decine di giovani sbandati facendoli poi andare a combattere in Siria e Iraq. Dal 2014 langue in un carcere di massima sicurezza dove resterà almeno fino al 2024 per la attività legate al terrorismo. Questo a meno che non verrà deciso di fargli scontare la pena in Marocco, suo Paese d’origine in cui lo attendono strutture carcerarie ben diverse da quelle belghe e dove deve rispondere anche per una condanna per traffico di stupefacenti, nonché di offese nei confronti di Re Mohammed VI («Le roi du Maroc, son pays, son gouvernement peut aller au diable!») e di minacce all’ex capo del governo marocchino Abdelilah Benkirane.
Qualche giorno fa Belkacem è stato ascoltato a porte chiuse ad Anversa dalla Corte d’Appello. L’audizione è avvenuta nell’ambito del procedimento penale avviato nei suoi confronti dalla Procura Generale che intende revocargli la nazionalità con conseguente espulsione verso il Marocco. L’ufficio del pubblico ministero sostiene che Belkacem costituisca ancora una «minaccia permanente alla sicurezza pubblica» e che abbia «violato gravemente i suoi obblighi di cittadino belga» al punto che «la nazionalità gli deve essere revocata».
Davanti ai giudici Belkacem si è limitato a dirsi pentito delle sue azioni. Al termine dell’udienza il suo avvocato, Liliane Verjauw, ha dichiarato alla stampa: «Il mio cliente ha espresso il suo rammarico e ha riconosciuto che si era spinto troppo lontano con i suoi comportamenti. Si sente belga e vorrebbe restare in Belgio anche perché non ha più legami con il Marocco».
Per la sentenza definitiva i tempi non saranno brevi, ma i recenti cambiamenti apportati al codice penale in Belgio consentono di togliere la cittadinanza a coloro che l’hanno acquisita dopo il dodicesimo anno di età e che sono stati giudicati colpevoli di reati terroristici. In questo epilogo spera il segretario di Stato per l’asilo e la migrazione del governo belga Theo Francken, il quale non ha mai nascosto la sua ferma volontà di espellere il prima possibile Foad Belkacem dal Paese una volta privato del passaporto belga che aveva ottenuto grazie alla madre.
Il profilo di Sharia4Belgium
Foad Belkacem ha fondato il gruppo Sharia4Belgium nel marzo 2010. L’organizzazione è stata attiva fino al 2012, quando il 7 giugno è stata smantellata con arresti di massa. In due anni il gruppo è riuscito a creare proprie cellule ad Anversa, Bruxelles, Boom, Vilvoorde, Schaerbeek e Charleroi. Nell’operazione di polizia del giugno 2012 sono state fermate 46 persone. Per loro l’accusa è stata di far parte, a vario livello, «di un’organizzazione terroristica che aveva creato un sistema logistico per aiutare chi volesse ad andare a combattere in Siria». In aula, al processo di primo grado, erano presenti solo in otto. Gli altri imputati si trovavano tutti tra la Siria e l’Iraq, motivo per cui sono stati giudicati in contumacia.
C’è stato anche un pentito, Jejoen Bontinck, diciannovenne convertitosi all’Islam che era stato condannato a 40 mesi di prigione. Partito per la Siria dopo essersi fidato di Belkacem – che gli aveva raccontato di un Paese pieno di ville e lussi per chi andava a combattere per il Jihad – Bontinck ha trascorso 200 giorni in una cella dell’ISIS. Resosi conto dell’errore commesso, è riuscito a tornare in Belgio in circostanze misteriose (molto probabilmente la sua famiglia ha pagato un riscatto), ha collaborato con le autorità svelando dettagli e fornendo una mappa delle attività di Sharia4Belgium e sullo stesso Foad Belkacem.
Nei due suoi anni di piena attività, Sharia4Belgium si è servito anche di numerosi sostenitori di altri Paesi. Tra questi c’erano molti predicatori dell’odio itineranti. Alcuni dei più noti sono stati Ajem Choudary (attualmente in carcere), Tarik Chadlioui, Tarik Ibn Ali (deceduto in Siria) e Abu Dujana (ancora attivo a Berlino).
Revoca della nazionalità ed espulsioni oggi sono parte di una nuova strategia attuata dalle autorità del Belgio nei confronti degli islamisti che in questo Paese, per decenni, hanno imperversato sfruttando il lassismo politico e facendo leva sugli accordi stipulati nel 1967 da Re Baldovino con la famiglia reale saudita. Una sorta di “Oil for Quaran” che per decenni è suonato più o meno così: «Tu mi vendi il petrolio al prezzo più basso, e in cambio puoi fare del Belgio casa tua».
Il fenomeno jihadista in Belgio
Nei giorni scorsi il governo di Bruxelles ha reso noto che nel 2017 sono stati aperti 802 fascicoli per terrorismo nel Paese. Un lavoro enorme che grava su strutture risicate nei numeri e nella formazione specifica, e che si somma alle enormi e note difficoltà di polizia e servizi segreti nel contrastare un fenomeno, come quello jihadista, sottovalutato per decenni.
In molti ritengono che il jihad in Belgio abbia presentato solo una parte del conto salato che il Paese è destinato a pagare nei prossimi anni. Il Belgio è infatti lo Stato membro dell’Unione Europea da cui, in proporzione, sono partite più persone per combattere al servizio di gruppi jihadisti in Siria e Iraq. Molti di questi foreign fighters sono stati convinti a partire proprio dalla martellante campagna sul web e dalle attività che per anni esponenti di Sharia4Belgium hanno portato avanti indisturbati in moschee e centri islamici.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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