Le province di confine sono sicuramente quelle più colpite dagli scontri fra sauditi e ribelli. Si parla troppo poco della crisi umanitaria yemenita e si hanno ancora meno notizie sulla situazione della sicurezza nel Sud dell’Arabia Saudita. Cosa accade lungo la frontiera?
1. IZAN, ASIR E NAJRAN FRA YEMEN E ARABIA SAUDITA
Dal 2015, i costanti attacchi degli Houthi pregiudicano la sicurezza delle zone saudite di confine, provocando numerose vittime. Le province più colpite sono Jizan, Asir e Najran, storicamente appartenenti allo Yemen, dal quale sono state arbitrariamente separate, proprio dagli Al Saud, nel 1934 dopo un biennio di dure lotte. Questa solida identità tribale permane tuttora. Se in Asir continuano a essere rispettate le leggi tribali e si parla un dialetto yemenita e in Jizan sono frequenti le rivendicazioni identitarie, il Najran resta il caso più emblematico. In questa regione la centenaria e potente tribù degli Yam è ismailita (corrente sciita diffusa oltre confine) e altri gruppi minoritari sono zaiditi (come gli Houthi). Si tratta di zone povere, nelle quali agricoltura e pastorizia sono le sole fonti di sussistenza, viste la mancata redistribuzione delle ricchezze economiche e l’assenza di programmi mirati di assistenza sociale. A questo si aggiungono i danni materiali derivanti dalla guerra, che colpiscono il Sud più di ogni altra area del Paese. Lontana dai favori di Riyadh, ma bersaglio diretto delle sue decisioni, la popolazione è spesso contraria alle imposizioni governative, tanto da aver sostenuto la nascita del gruppo secessionista e anti-saudita Ahrar al-Najran (I liberi del Najran).
Fig. 1 – Centrale elettrica del Najran danneggiata da un razzo degli Houthi
2. OFFENSIVA HOUTHI E REAZIONI SAUDITE
Gli Houthi sono molto attivi lungo il confine. Ispirati dai Pasdaran, combinano incursioni terrestri a lanci di droni armati, missili Scud e razzi a corto raggio (iraniani e russi). Questa nuova declinazione di guerriglia è decisamente efficace. I ribelli, infatti, sono riusciti a penetrare nel territorio nemico per ben 10 chilometri, occupando villaggi in Najran e Jizan, a distruggere basi e attrezzature belliche sparse per le province meridionali e a danneggiare le infrastrutture petrolifere dell’Aramco in Jizan. Si stima che, dall’inizio del conflitto al maggio 2018, siano stati uccisi un migliaio di militari sauditi (oltre alle vittime civili) e siano stati lanciati almeno 150 missili. Addirittura, nei primi cinque mesi dell’anno in corso si sono verificati quasi il doppio di attacchi rispetto all’intero anno precedente. L’evidente miglioramento delle capacità offensive dei ribelli è controbilanciato dall’altrettanto efficace sistema anti-missilistico Patriot (statunitense) in dotazione dei sauditi, che, intercettando i razzi nemici, li colpisce e li disintegra. Tuttavia la caduta di frammenti è un pericolo per la popolazione meridionale, ripetutamente colpita. L’abilità degli Houthi di attaccare il Regno direttamente sul territorio ha spinto Riyadh a intervenire con misure di sicurezza eccezionali. Con lo scopo di creare una zona cuscinetto contro l’avanzata dei ribelli, migliaia di residenti nelle aree frontaliere hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, in cambio di un risarcimento e di un aiuto nella ricerca di una nuova sistemazione. Mentre molti accettano di lasciare la casa, altri si rifiutano, ritenendo che i villaggi siano sicuri grazie al patto di non-aggressione stretto con gli yemeniti di confine e che l’abbandono del proprio territorio comporti la perdita della loro unica fonte di sussistenza. Fonti filo-iraniane riportano di minacce del Governo ai trasgressori, per i quali sarebbe prevista l’accusa di tradimento e, come confermato da associazioni per i diritti umani, il taglio delle risorse alimentari e l’invalidazione dei documenti di viaggio. Vista la situazione, Riyadh ha richiesto l’intervento dei Berretti Verdi statunitensi per individuare e distruggere i missili dei ribelli. Decisamente più controversa è la scelta, emersa dall’inchiesta dell’Associated Press dell’agosto 2018, di reclutare miliziani di AQAP per difendere i confini nazionali. Il gruppo terroristico sunnita, infatti, è tra i più temuti nel Regno, proprio per la sua tradizionale ostilità agli Al Saud e per i violenti attentati compiuti in passato.
Fig. 2 – Mohammad Ali al-Houthi (a sinistra) incontra l’inviato delle Nazioni Unite, Martin Griffiths (a destra) a Sanaa il 24 novembre 2018
3. TENTATIVI SAUDITI E PROSPETTIVE
Le province meridionali continuano a mantenere forti legami transfrontalieri con le tribù yemenite del Nord, dove è forte il sostegno ai ribelli. La popolazione, prendendo le distanze dal rigore wahhabita, chiede a Riyadh un maggiore rispetto della propria identità e delle proprie libertà. Lontano dai giochi di potere e dalla politica governativa, il Sud del Paese si trova a essere teatro di violenti scontri che mettono quotidianamente a rischio la vita degli abitanti. La riconquista dell’area e della sua sicurezza deve passare per la conquista del favore tribale. È di pochi giorni fa la decisione della coalizione araba di sospendere gli attacchi su Hodeidah, dove transita circa il 70% degli aiuti umanitari destinati allo Yemen. Alla notizia, Mohammad Ali al-Houthi, capo della Commissione rivoluzionaria suprema degli Houthi, ha risposto positivamente, interrompendo a sua volta gli attacchi contro sauditi ed emiratini. Questi sviluppi potrebbero portare a nuovi colloqui di pace e, probabilmente, a un temporaneo abbassamento delle tensioni nelle province saudite meridionali.
Sveva Sanguinazzi
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