Silvia Romano, dopo 18 mesi di prigionia trascorsi tra Kenya e Somalia, domenica 10 maggio è tornata in Italia. La liberazione ha coinvolto in primo luogo gli uomini dell’AISE. Decisiva, oltre al ruolo giocato dalla Turchia, anche la mediazione del Qatar, come del resto è avvenuto per altri sequestri. Il 18 novembre del 2018 Silvia Romano viene rapita nel villaggio di Chakama, in Kenya, da tre uomini armati. In un primo momento, si segue la pista dei criminali locali. Ma come sarà chiarito in seguito, il sequestro della cooperante viene ordinato da un gruppo di estremisti.
Il Qatar vende armi e veicoli militari all’esercito somalo. A causa la forte corruzione, i militanti di al-Shabaab spesso sanno dove e quando attaccare per rubare questi armamenti. L’intelligence saudita ha accusato il Qatar di finanziare campi di addestramento per militanti in Kenya, molti dei quali si sono poi uniti ad al-Shabaab o a Boko Haram. Il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha accusato nel 2014 un uomo d’affari e studioso del Qatar, Abdul Rahman al-Nu’aymi, di finanziare al-Shabaab. Molti privati qatarioti, ong e onp islamiche inviano sostegno economico con sistemi difficilmente rintracciabili. Il Qatar in passato ha sostenuto diversi gruppi jihadisti africani, ma il punto è che è difficile dimostrarlo. Ci sono molto sceicchi qatarioti che sostengono finanziariamente al-Shabaab. Tale sostegno da parte del Qatar si spiegherebbe così: i jihadisti somali potrebbero colpire gli interessi emiratini e sauditi o mantenere un clima di instabilità per potersi ad essi sostituire. La Somalia è dunque terreno di confronto tra i Paesi del Golfo. Gli Emirati vedono la Somalia vicina al Qatar e con l’Arabia Saudita hanno usato il Corno d’Africa come base per le operazioni in Yemen. Dall’altro lato, il Qatar sfrutta anche proprio soft power per espandere l’influenza politica e diplomatica sulla Somalia, la quintessenza dello Stato fallito.
Fiorenza Sarzanini racconta sul Corriere della Sera:
La carta decisiva, come del resto è accaduto anche in altri sequestri, si gioca attraverso il Qatar. È lì, tra fine aprile e i primi giorni di maggio, che i mediatori consegnano l’ultima prova in vita e ottengono il via libera al pagamento del riscatto. Poi viene dato il segnale che la partita è chiusa. Martedì scorso il capo della banda entra nella prigione dove Silvia è segregata. Sarà proprio lei a ricordare quel momento domenica pomeriggio, a Roma, nella caserma dei carabinieri dove è stata portata per l’interrogatorio dopo il rientro in Italia. La voce di Silvia tradisce emozione mentre dà forma al ricordo di fronte al pubblico ministero Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi. «Mi ha detto “è finita, ti liberiamo”. Poi mi ha caricato su un trattore dove c’era un altro uomo e abbiamo viaggiato per tre giorni». Due notti all’addiaccio, tre giorni prima della fine del dramma. Venerdì pomeriggio, a una trentina di chilometri da Mogadiscio, Silvia scende dal trattore e viene caricata su un auto dove l’aspettano altri due uomini. Sono i rappresentanti dello Stato che la porteranno in ambasciata. Componenti della squadra che in questi 18 mesi non ha mai smesso di cercarla. Mentre entrano nella sede diplomatica vengono sparati alcuni colpi di mortaio. Scatta l’allarme, ma Silvia è ormai in salvo. All’alba comincia il viaggio verso casa dove arriva ieri sera. E in quell’appartamento dove si chiude con la mamma e la sorella comincia la nuova vita di Aisha.
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Scrive Guido Olimpio ancora sul Corriere della Sera:
Tante strade portano a Doha, compresa quella legata al destino di Silvia Romano. Conseguenza del ruolo da protagonista del Qatar. Primo. E’ tra le potenze regionali impegnate in Somalia. Secondo. E’ un grande partner dell’Italia, legame sottolineato dagli investimenti e la collaborazione militare (hanno comprato da noi numerose navi). Terzo. Ha canali comunicativi con forze estremiste.
Se poi andiamo nello specifico – dossier ostaggi – il Qatar ha fatto spesso da mediatore e in un caso ha speso quasi un miliardo di dollari necessari al rilascio di 26 connazionali, tra questi alcuni membri della grande famiglia reale. Un vero intrigo dall’Iraq alla Siria. Gli avversari hanno accusato il Qatar di aiutare movimenti radicali, come al Nusra. Il versamento del riscatto – affermano – è un modo indiretto di assistere fazioni pericolose. E nell’agosto del 2015 gli Usa hanno inserito nella lista nera due presunti finanziatori originari del Qatar, un modo per ammonire un paese che comunque ospita una base americana. Prova visibile della capacità di muoversi tra fronti contrapposti.
Quanto alla partita somala Doha si è ritagliato uno spazio significativo ed ha contrastato la coppia Emirati-Arabia. Il New York Times, nel luglio 2019, ha pubblicato un’intercettazione di colloquio telefonico tra l’ambasciatore qatarino e un uomo d’affari, dialogo a proposito di un’esplosione verificatasi nel porto somalo di Bosaso rivendicata da militanti. L’imprenditore spiegava al diplomatico che l’attacco era opera dei «nostri amici», l’intento era di mettere in fuga i rappresentanti degli Emirati. Una frase generica – è stata la difesa dell’imprenditore – siamo amici di tutti i somali. Episodio non isolato. Killer travesti da pescatori hanno ucciso un manager portuale sempre a Bosaso, la vittima lavorava per gruppo di Dubai. Gli emiratini, a loro volta, hanno manovrato con valigette piene di dollari, hanno sponsorizzato elementi politici, hanno mirato all’area settentrionale della Somalia per guardare verso Bab el Mandeb. Spesso, nella lotta di influenza, i contanti sono più utili di un fucile.
Nulla di nuovo sotto il Sole. Ricordo ancora l’epoca degli ostaggi in Libano, negli anni ’80-’90. Gli ostaggi occidentali, sequestrati nel territorio libanese, erano non di rado liberati a Damasco e dintorni. Era un modo per dire grazie al ruolo siriano. Tutto molto ipocrita. Alcuni dei sequestratori erano protetti dai servizi siriani, al massimo non osteggiati. I piani dei terroristi potevano far comodo al vecchio Assad, esistevano delle collusioni. Però la diplomazia accettava questa messinscena perché era l’unico modo possibile per riportare a casa degli innocenti.
FOTO: ANSA
Redazione
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