Siria_Damasco

I diari di guerra dal nostro inviato in Siria, Luca Steinman*

Le vette innevate dei monti libanesi costeggiano la strada che da Beirut porta verso Damasco. Questa antica via romana, chiamata un tempo Via Maris perché collegava la capitale siriana con le principali grandi città mediterranee, è oggi intervallata da ripetuti posti di blocco sia sul versante libanese che, passata la frontiera, su quello siriano dove interminabili check point controllano vetture e passeggeri. I militari addetti a queste operazioni stazionano in gabbiotti decorati da poster raffiguranti bandiere siriane, i volti del loro presidente Bashar al Assad e del suo defunto padre Hafez e di Hezbollah.

Varcata la soglia della città Damasco si presenta attiva, vivace e brulicante come sempre. Il quartiere di Mezzeh è intasato dal traffico e assordato dal suono dei clacson, il centralissimo suk di Al-Hamidiyah è affollato dai pedoni che riempiono negozi e caffè, il rione di Bab Tuma è ornato a festa per San Valentino, una ricorrenza sentita dai damasceni più di molte altre occasioni raccomandate. Guardando le coppiette che passeggiano mano nella mano, i baracchini che vendono dolci a forma di cuore e i ragazzini su improbabili motorini che consegnano enormi mazzi di fiori, non si penserebbe mai che su queste stesse strade colorate piovono quasi tutti i giorni decine di colpi di mortaio che hanno causato morti e feriti. Bab Tuma e i vicini quartieri di Bab Shirk e Qassah si trovano infatti nella parte est della città e confinano direttamente o sono molto vicini ai rioni controllati dai ribelli: Jobar, Harasta e Goutha.

Nei giorni la pioggia ha bagnato Damasco e in città si è diffusa un’amara frase ironica: a Bab Tuma non piovono soltanto gocce ma anche colpi di mortaio. “Piove” ogni volta che il governo attacca le roccaforti ribelli. La logica è molto semplice: ogniqualvolta l’aviazione bombarda i rioni nemici da questi iniziano a partire colpi di mortaio verso i quartieri adiacenti leali ad Assad, abitati per la maggior parte da cristiani e privi di obiettivi militari significativi. A farne le spese è solo la popolazione civile.

Grattando sotto la superficie di serenità e spensieratezza che trasmettono i damasceni si scopre una città divisa, impaurita e vittima della guerra. Damasco e i suoi sobborghi sono una scacchiera in cui il governo ha riconquistato la maggior parte dei quadranti ma in cui intere zone sono ancora controllate dai ribelli. L’ISIS è confinato nel sud della città, dentro l’ormai ex campo profughi palestinese di Yarmouk; un eterogeneo miscuglio di ribelli, tra cui quelli di Al Nusra, controlla invece le zone ovest della capitale. L’esercito non riesce né a bloccare i rifornimenti verso queste vaste enclaves né a riconquistarle con operazioni di terra. Sono almeno sette mesi infatti che Jobar è assediata ma i governativi non hanno mai sfondato.

«Se ci fosse ancora il padre del presidente tutto questo non sarebbe successo» ho sentito dire in riferimento alla brutalità con cui Hafez Al Assad riconquistò le città che gli si rivoltarono, per esempio nel 1982 quando fece chiudere gli ingressi di Hama e la bombardò pesantemente stroncando la rivolta che la animava. Oggi sotto suo figlio Bashar, che pure non risparmia assolutamente i metodi duri, non ha ordinato su Damasco demolizioni paragonabili a quella di allora. I tipi di attacchi contro i rioni est della capitale, però, hanno l’effetto di generare puntualmente piogge di mortai contro i civili a lui fedeli e al contempo di uccidere numerosi civili asserragliati dentro le aree nemiche. Senza però far fuggire i ribelli.

Bab Tuma vive questo San Valentino con sorridente rassegnazione. È un formicaio di persone abituate a girare per le strade e, come le formiche, a correre ai ripari nelle case e sotto le tettoie appena sentono l’avvicinarsi del primo mortaio (seguito quasi sempre da altri colpi) per poi uscire dai nascondigli appena torna la tranquillità e continuare come se nulla fosse successo. Qualche minuto dopo ogni “piovuta” non rimane alcun segno dell’assalto se non delle ammaccature sull’asfalto che sembrano banali buche stradali. La sera di San Valentino, però, nessuno manifesta timore o nervosismo per le strade. Durante la giornata l’esercito non ha bombardato la confinante Jobar dalla quale non ci si aspetta dunque nessuna reazione. Le coppiette si incontrano tranquillamente sotto la porta di San Tommaso per poi andare a passeggio nei suoi stretti vicoli decorati. Non è quasi mai possibile distinguere chi sia cristiano da chi sia di altre fedi e sarebbe maleducato chiederlo. Da domani i colpi di mortaio potrebbero tornare a piovere e per questo in molti ne approfittano per godersi questa notte di tregua. E fanno bene.

* Classe 1989, studi in relazioni internazionali, Luca Steinman è un giornalista e reporter. Dopo una prima esperienza di lavoro in estremo oriente, ha iniziato a seguire il conflitto mediorientale come freelance scrivendo da Siria, Libano e Turchia. Di base in Siria, in questi giorni sta raccontando in tempo reale quanto sta avvenendo sul territorio in un momento in cui l’ISIS sta venendo sconfitto senza che però cessino le ostilità armate.