«Quello del Rojava per i curdi è un sogno e probabilmente rimarrà tale, specie alla luce della nuova offensiva lanciata nel nord della Siria dalla Turchia», spiega il Generale Giuseppe Morabito, membro della NATO Foundation, che ieri ha organizzato a Roma un interessante convegno sulla situazione in Medio Oriente dopo lo Stato Islamico. «I curdi hanno già ottenuto una grande vittoria nel nord dell’Iraq dove hanno formato il Kurdistan iracheno con capitale Erbil. Va detto che le etnie curde che vivono nella regione mediorientale – tra Turchia, Iran, Siria, Iraq e Armenia – non vanno affatto d’amore e d’accordo e non hanno tutta questa voglia di unificarsi», aggiunge Morabito. Per Babilon il Generale ha risposto a un paio di quesiti.
A cosa punta il presidente turco Erdogan?
«In questo momento nel nord della Siria stiamo assistendo al tentativo di Erdogan di tornare ancora una volta ad affermarsi come uomo forte della Turchia in vista delle prossime tornate elettorali. Erdogan deve far fronte a una situazione economica interna difficile e per questo motivo ha deciso di puntare su un nuovo intervento militare per dimostrare di avere in mano il suo Paese. I curdi sono il bersaglio ideale, essendo considerati da Erdogan indistintamente alla stregua dei terroristi del PKK».
Questo accordo come può tornare favorevole a Trump?
«Trump non ha risolto il problema dei 60mila terroristi jihadisti catturati dai curdi nel nord della Siria. Il presidente degli Stati Uniti per mesi ha chiesto ai governi dei Paesi europei, da dove buona parte di questi jihadisti proviene, di prendersene carico. Ma finora non ha ricevuto alcuna risposta. Adesso, dando il nulla osta a Erdogan per una nuova campagna militare nel nord della Siria, la detenzione di queste migliaia di miliziani non sarà più sicura: in una situazione di conflitto potrebbero infatti avere più facilità di fuga, o essere direttamente spinti dai curdi verso i confini turchi. Di fronte a una situazione del genere Erdogan avrebbe due scelte: fermare e catturare i jihadisti con un dispendio economico, logistico e militare enorme; oppure lasciare che passino dalla Turchia per dirigersi verso i Balcani. Se le cose dovessero andare così, come è assai probabile, il problema tornerebbe all’Europa. Ecco come Trump, attraverso la Turchia, sta mandando un messaggio chiaro all’Europa. E questa è una dinamica che presto potrebbe toccare direttamente anche l’Italia».
PHOTO: US President Donald Trump and Turkish President Recep Tayyip Erdogan attend the start of the NATO summit in Brussels, Belgium, July 11, 2018, Reuters.
Clarice Contini
Giornalista, laurea magistrale in Relazioni Internazionali, fiorentina, classe 1986.
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