«La liberazione della città di Albu Kamal è molto importante perché segna la fine del piano terroristico dello Stato Islamico nella nostra regione». L’annuncio della riconquista della città, ultimo bastione del Califfato nel governatorato siriano orientale di Deir Ezzor al confine con l’Iraq, è stato dato oggi, giovedì 9 novembre, dal comando generale dell’esercito di Damasco. Già ieri su YouTube erano iniziate a circolare le prime immagini dei festeggiamenti dei soldati governativi e di miliziani filo-iraniani dopo l’ingresso nell’ormai ex roccaforte jihadista. Ma nemmeno 48 ore dopo ISIS ha sferrato una nuova offensiva contro la città recuperandone in parte il controllo.
L’importanza strategica di Albu Kamal
Albu Kamal è situata nella valle del fiume Eufrate. La città, così come l’intero governatorato di Deir Ezzor, erano caduti nelle mani dell’esercito del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi nell’estate del 2014. All’epoca i jihadisti impiegarono meno di tre mesi per prendere il sopravvento allargando così ulteriormente l’enorme “chiazza nera” in cui, per anni, ISIS ha unificato sotto le sue bandiere nere i territori al confine tra Siria e Iraq, facendone un vero e proprio Stato grande quanto la Gran Bretagna nel momento di massima estensione.
Con una manovra a tenaglia forze irachene da una parte e truppe siriane dall’altra hanno ripreso il controllo dell’area. Sul fronte iracheno decisiva è stata la presa di Al Qaim; su quello siriano, invece, prima il 3 novembre la conquista di Deir Ezzor, capoluogo dell’omonimo governatorato, poi quella di Albu Kamal che però resta ancora in parte nel mirino della minaccia jihadista.
In questa avanzata determinante è stato il contributo delle Forze di Mobilitazione Popolare (Al-Hashad Al-Shabi) che rispondono direttamente all’Iran, dei corpi di élite della Guardia Rivoluzionaria iraniana e, nello specifico sul fronte siriano, delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. Un supporto militare fondamentale per i governi di Damasco e Baghdad, che testimonia il ruolo sempre più centrale dell’Iran nella grande guerra in corso in Siria e Iraq. Adesso però il fronte sciita sarebbe stato lasciato da solo dalle truppe siriane a difendere Albu Kamal. E’ un remake dell’errore tattico commesso da siriani e russi a fine dicembre 2016, quando abbassando colpevolmente la guardia a Palmira permisero ai jihadisti di impossessarsi nuovamente della città per mesi.
Cosa resta di ISIS in Siria
Mentre dai territori liberati dal Califfato è incessante il flusso degli sfollati (solo da Albu Kamal circa 120mila), proseguono le operazioni per stanare le ultime sacche di resistenza jihadiste. Dei miliziani riusciti a fuggire da Albu Kamal, molti si sono diretti verso nord dove potrebbero imbattersi nelle milizie curdo-arabe SDF (Syrian Democratic Forces) che poche settimane fa con il sostegno degli USA hanno ripreso il pieno controllo di Raqqa, ex capitale siriana di ISIS.
Nella Siria orientale il Califfato è ormai annidato per lo più nelle aree desertiche del governatorato di Deir Ezzor, dove è destinato all’isolamento non potendo più effettuare controffensive di terra né contare sul passaggio di armi, carburante e carichi di greggio dai territori che controllava in Iraq.
Dopo il completamento dell’assedio di Deir Ezzor, il ministero della Difesa di Mosca ha dichiarato che ormai ISIS controlla meno del 5% del territorio siriano, percentuale che superava il 70% prima dell’avvio dell’intervento militare russo a sostegno del presidente Bashar Al Assad. Oltre che a Deir Ezzor, lo Stato Islamico possiede ancora territori nella parte est del governatorato di Homs, nella periferia meridionale di Damasco e nell’area sud del governatorato di Daraa. Lungo i confini orientali della Siria ha inoltre in pugno la piccola città irachena di Rawa, non distante da Al Qaim. L’altra minaccia jihadista presente in Siria, vale a dire la coalizione Hayat Tahrir al-Sham (guidata dai qaedisti di Jabhat Fateh al-Sham, ex Jabhat Al Nusra), controlla invece gran parte del governatorato nord-occidentale di Idlib e attualmente sta subendo pesanti offensive da parte dell’aviazione russa.
Nonostante lo sgretolamento dei territori del Califfato, secondo Max Abrahms, professore della Northeastern University di Boston interpellato da Russia Today, «lo Stato Islamico non è morto. L’organizzazione è riuscita ad attirare decine di migliaia di combattenti da numerosi Paesi in tutto il mondo». Il che significa due cose: rimangono ancora gruppi armati dell’ISIS da sconfiggere in Siria e Iraq e, soprattutto, nel resto del mondo, dall’Africa all’Asia. Inoltre, sono molti quelli rientrati nei Paesi d’origine dove presto inevitabilmente tenteranno di portare a termine degli attentati per attirare l’attenzione e ribadire il concetto secondo cui “lo Stato Islamico non finisce qui”.
(Ultimo aggiornamento 12 novembre)
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Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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