Negli ultimi giorni il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di lanciare attacchi missilistici in Siria in risposta al presunto attacco chimico effettuato dalle forze siriane nella roccaforte ribelle di Douma lo scorso 7 aprile. In molti hanno letto nelle parole infuocate del capo della Casa Bianca il preludio del remake di quanto accaduto esattamente un anno fa, quando gli USA colpirono con una pioggia di missili la base area siriana di Shayrat da dove, secondo il Pentagono, nei giorni precedenti era partito un attacco con armi chimiche sferrato da Damasco contro la località di Khan Shaykhun in cui morirono più di 80 persone.
In attesa di capire se e quando scatterà l’attacco americano, ecco un quadro della presenza di truppe americane sul terreno in Siria, accompagnato da una mappa del New York Times che delinea le aree che sono presidiate da USA da una parte e Russia e Iran dall’altra a sostegno di Bashar Al Assad.
Dove sono schierate le truppe americane in Siria
Le truppe americane sono atterrate in territorio siriano alla fine del 2015. A poggiare per primo gli stivali sul terreno è stato un piccolo contingente di forze speciali, inviato nel nord-est del Paese per addestrare ed equipaggiare le milizie arabo-curde locali delle SDF (Syrian Democratic Forces), e i ribelli siriani dall’altra, in chiave anti-ISIS.
L’intesa con i ribelli siriani non ha prodotto alcun risultato tangibile sul campo, mentre gli americani hanno potuto contare sull’affidabilità delle SDF che hanno sostenuto con forniture di armi, supporto logistico e copertura aree negli assalti riusciti alle roccaforti di ISIS di Manbij prima e Raqqa poi.
Nel frattempo la presenza militare americana si è gradualmente estesa. Da una squadra di pick up armati, gli USA sono arrivati oggi a dotarsi di una rete di avamposti dislocati lungo centinaia di chilometri nel nord-est della Siria al confine con l’Iraq. Tra i suoi effettivi, in totale circa 2.000 secondo quanto comunicato dal Pentagono, oltre ad addestratori vi sono anche soldati regolari incaricati di proteggere una rete di avamposti militari, ingegneri a cui è stata affidata la costruzione delle basi, piloti di caccia e, ovviamente, unità speciali utilizzate per localizzare e neutralizzare le ultime sacche di resistenza dello Stato Islamico.
I principali punti in cui sono dislocati i militari USA sono: alle porte di Manbij, dove presto i contingenti americani potrebbero entrare in rotta di collisione con l’avanzata delle truppe turche nell’ambito dell’Operazione Ramoscello d’Ulivo; a sud di Kobane, dove gli USA dispongono di una base aerea dove atterrano anche grandi aerei cargo; nei pressi di Hasaka; nei pressi di Al Tanf, al confine con Giordania e Iraq dove forze speciali americani e britanniche cooperano con milizie ribelli siriane locali; nel governatorato di Deir Ezzor, dove si concentrano i più ricchi giacimenti di petrolio della Siria e dove gli USA si sono già scontrati con mercenari russi e milizie filo-iraniane che presidiano quest’area strategica a sostegno dell’esercito di Bashar Al Assad.
Nell’ultimo di questi incroci pericolosi, nel febbraio scorso, nell’area di Khasham, situata lungo il fiume Eufrate a sud-est rispetto alla città di Deir Ezzor, oltre 100 tra militari governativi e miliziani alleati dell’esercito di Damasco sono stati uccisi in raid effettuati da cacciabombardieri americani.
Se Trump deciderà di inondare di missili la Siria, è molto probabile che assisteremo ad altri di questi incroci pericolosi non solo nei cieli siriani ma anche sul terreno.
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