A quasi sette mesi dalle elezioni di aprile 2019 ma a soli due giorni dal voto del 10 novembre, Pedro Sánchez del PSOE (Il Partito Socialista) e Pablo Iglesias di Unidas Podemos hanno trovato un accordo di principio per la formazione di un governo di coalizione. L’accordo, i cui termini verranno resi noti nei prossimi giorni, è stato suggellato da un abbraccio. I due che si erano scontrati durante la campagna elettorale, per mesi la Spagna non era riuscita a formare un governo proprio a causa dei contrasti tra PSOE e Unidas Podemos, che chiedeva un ruolo maggiore nel nuovo governo. A Pablo Iglesias andrà la carica di vicepresidente.
Secondo il sistema parlamentare spagnolo, il governo ha bisogno di una maggioranza assoluta di 176 deputati in prima votazione o di una maggioranza semplice nella seconda. Il PSOE ha vinto le ultime elezioni, ma ha bisogno dell’appoggio di altri partiti per avere la maggioranza. Dal momento che la somma dei seggi di PSOE e Unidas Podemos è 155, al premier in carica Sanchez mancano 21 seggi e per questo potrebbe guardare agli indipendentisti catalani di sinistra, proprio coloro che che avevano causato la caduta del suo esecutivo. Il PSOE potrebbe rivolgersi ad ERC (Esquerra Republicana, gli indipendentisti di sinistra), che alle ultime elezioni era emerso quale primo partito in Catalogna, con 13 seggi nel parlamento nazionale. Alle elezioni del 10 novembre la sinistra non ha ottenuto grandi risultati: il PSOE ha perso due seggi, mentre Sánchez sperava di aumentare il suo consenso; Unidas Podemos invece ha perso 14 seggi. L’estrema destra di Vox è cresciuta, guadagnando 28 seggi. «Sarà un governo di coalizione progressista che combina l’esperienza del PSOE con il coraggio di Unidas Podemos. Un governo che lavorerà per il dialogo per affrontare la crisi territoriale e per la giustizia sociale come miglior vaccino contro l’estrema destra», ha dichiarato Pablo Iglesias, leader di Unidas Podemos.
L’analisi del voto di Rachele Renno per Il Caffè Geopolitico:
E’ la seconda volta in un anno che la Spagna torna al voto: dopo le elezioni del 28 aprile scorso che avevano visto la vittoria del PSOE di Pedro Sanchez, seppur con precari equilibri, domenica 10 novembre nel Paese iberico si sono tenute nuovamente le elezioni. La delicata situazione in Catalogna, l’impossibilità di formare una coalizione di sinistra e l’ascesa del partito radicale di estrema destra Vox hanno fatto sì che il leader del partito socialista proclamasse le nuove elezioni. I risultati sono stati, in alcuni casi, sorprendenti. Il PSOE si è confermato prima forza politica del Paese anche se ha ottenuto il 28,35% dei voti, passando da 123 a 120 seggi. E’ la prima volta che in Spagna il partito vincitore ottiene meno di 123 seggi.
Ad uscire sconfitto è stato il partito centrista di Albert Rivera, Ciudadanos, che ha perso ben 47 seggi rispetto alle elezioni di Aprile, riuscendo a raggiungere solo il 6,8% dei voti, pari a 10 seggi; in seguito a questa grande sconfitta il leader Rivera ha rassegnato difatti le sue dimissioni.
Ma l’elemento più sorprendente è stata l’ascesa del partito di estrema destra Vox, che ha più che raddoppiato i propri seggi rispetto ad aprile scorso, passando dai 24 ai 52. Complice anche la crisi in Catalogna che si è inasprita nell’ultimo mese, Vox ha guadagnato consensi soprattutto nel Sud del paese, mantenendo una propaganda dura ed intransigente nei confronti dei movimenti indipendentisti catalani. Per quanto riguarda la coalizione Unidas Podemos, formata principalmente dal partito di Pablo Iglesias Podemos, rispetto ad aprile ha raggiunto il 10,7%, pari a 28 seggi, perdendone circa 7. Nonostante il risultato, è riuscita comunque a mantenersi come quarta forza politica del Paese iberico.
Fig. 1 – Pedro Sanchez durante un comizio post-elettorale del PSOE a Madrid
Tornare alle urne dopo appena sei mesi è senza dubbio un fattore atipico nell’ordinario funzionamento democratico di uno Stato, eppure la Spagna è tornata a votare per la quarta volta in poco meno di quattro anni. Tra i fattori che maggiormente hanno contribuito all’instabilità politica del Paese non possono essere tralasciati quelli legati alla delicata situazione dell’indipendentismo catalano.
In seguito alla notizia della condanna per sedizione dei leader indipendentisti catalani, con pene dai 9 ai 13 anni, lo scorso ottobre la città di Barcellona e l’intera Catalogna è stata scenario di rivolte e di vere e proprie guerriglie urbane. Si pensi che il 18 Ottobre è stata ricordata come la “battaglia di Urquinaona” dal nome della piazza in cui sono avvenuti gli scontri armati tra la policia nacional ed i gruppi di destra e radicali indipendentisti. Le proteste degli indipendentisti catalani sono stati uno dei principali fattori di rottura degli equilibri politici del Paese, anche a causa del mancato appoggio dato dal PSOE a ERC (Esquerra Republicana). In secondo luogo, una grande influenza ha avuto anche la mancata coalizione tra il PSOE e la coalizione di Unidas Podemos, poichè la mancanza di un accordo con il leader Pablo Inglesias non aveva consentito di raggiungere una maggioranza utile a governare.
Spanish acting Prime Minister Pedro Sanchez and Unidas Podemos (Together We Can) leader Pablo Iglesias hug during a news conference at Spain’s Parliament in Madrid, Spain, November 12, 2019. REUTERS/Sergio Perez – RC2P9D9JO6DN
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