Il generale Ratko Mladic, altrimenti noto come il “macellaio dei Balcani”, è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja (Tpi) per genocidio e crimini di guerra. Arrestato dopo quasi 16 anni di latitanza (fu preso nel villaggio di Lazarevo, a nord di Belgrado, il 26 maggio 2011) è conosciuto soprattutto per il massacro di Srebrenica, compiuto nel luglio del 1995, quando con i suoi uomini assediò l’enclave musulmana al confine serbo.
Sul capo di Mladic pendevano quasi 200 capi d’imputazione e il tribunale in questi anni ha visto sfilare in aula qualcosa come quattrocento testimoni, la maggior parte dei quali sopravvissuti alle epurazioni operate dal suo esercito. In aula, il generale-boia ha sempre ribadito di non riconoscere l’autorità della Corte internazionale, dichiarando baldanzoso: «Io sono il generale Ratko Mladic e il mondo intero lo sa. Non ho mai difeso me stesso, ma solo la libertà del popolo serbo».
Chi è Ratko Mladic
Soldato dell’esercito popolare jugoslavo agli ordini di Slobodan Milosevic, nel 1992 Ratko Mladic diviene comandante e nel 1994 raggiunge il grado di generale. Allo scoppio della guerra guida l’assedio di Sarajevo, uno dei capitoli più bui della recente storia europea. Divenuto Capo di Stato Maggiore della Repubblica di Serbia e Bosnia Herzegovina durante la turbolenta fase di secessione, le sue mani si sporcheranno di sangue innocente: torture, stupri, orribili omicidi, pulizia etnica colpiranno la popolazione civile assoggettata.
Una lunga scia di atrocità che nel 1996, alla fine delle ostilità, spingeranno il Tpi a spiccare un mandato di cattura contro di lui. La sentenza del Tribunale Internazionale, infatti, nel 2007 ha sollevato dalle responsabilità dirette l’allora governo di Belgrado, considerando invece responsabili i singoli comandanti militari e paramilitari in carica, a Srebrenica come altrove, durante quel periodo.
Mladic è stato il fedelissimo dell’architetto delle guerre balcaniche, Slobodan Milosevic, morto in cella nel 2006 prima che il Tpi dell’Aja potesse emettere un verdetto contro di lui. In suo nome, il “macellaio” ha comandato le truppe che intendevano rimuovere fisicamente i musulmani bosniaci e i bosniaci croati dai territori della ex Jugoslavia.
Il massacro di Sebrenica
Come ha ricostruito Edoardo Frittoli per Panorama, «nel luglio del 1995 si consumò una pulizia etnica ai danni della popolazione musulmana locale: 8mila morti, la peggior strage in Europa dalla seconda guerra mondiale, opera delle forze serbe agli ordini del generale Ratko Mladic, altrimenti noto come il “macellaio dei Balcani”. All’inizio di luglio, verso la fine della guerra nella ex-Yugoslavia, la città bosniaca di Srebrenica era un enclave musulmana protetta dalle Nazioni Unite e affidata ai caschi blu dell’esercito olandese.
Tra il 6 e l’8 luglio le forze dell’esercito della Repubblica dei Serbi di Bosnia avevano cominciato l’assedio alla piccola cittadina che raccoglieva migliaia di bosniaci musulmani in fuga dall’offensiva serba nella Bosnia nord-orientale. I caschi blu olandesi che avrebbero dovuto garantire la Safe Area erano soltanto 600, equipaggiati unicamente con armamento leggero.
La situazione degenera il 9 luglio, quando i serbi iniziano il bombardamento di Srebrenica. Comincia così il primo esodo di profughi musulmani verso i campi a sud della cittadina. Anche i difensori olandesi sono colpiti dall’artiglieria dei Serbi, che uccidono un casco blu e ne prendono 30 in ostaggio.
Il giorno successivo il colonnello Karremans, comandante delle forze olandesi, richiede l’appoggio dell’aviazione alla NATO che viene ritardato per un clamoroso errore procedurale. Il 10 luglio 1995 Srebrenica è nel panico. Più di 4.000 rifugiati sono ancora in città, mentre le truppe del generale Ratko Mladic non desistono. La mattina dopo, la NATO manda in volo i caccia, non ordinano l’attacco e quando Karremans ripete l’appello per l’intervento dell’aviazione, gli aerei devono tornare ad Aviano per rifornirsi dopo ore di volo a vuoto.
Nella base militare olandese di Potocari, pochi chilometri a Nord di Srebrenica, si erano intanto ammassati 20mila bosniaci in fuga dalla marcia dei Serbi. Soltanto alle 14:30 due caccia F-16 olandesi compaiono sopra le teste dei serbi e scaricano due bombe contro i blindati di Mladic. La reazione serba non si fa attendere e gli attaccanti usano gli ostaggi minacciando la loro morte se fossero proseguiti i bombardamenti che, di fatto, cessarono il giorno stesso.
Nel tardo pomeriggio dell’11 luglio 1995 il generale Ratko Mladic entra con i suoi uomini a Srebrenica, dove poco dopo incontra Karremans. La richiesta serba era quella dell’evacuazione e del disarmo immediato dei musulmani. Il giorno seguente arrivano gli autobus per la deportazione dei cittadini bosniaci, mentre i maschi dai 15 ai 77 anni vengono separati dalle famiglie e trattenuti per essere “interrogati” sotto gli occhi impotenti dei protettori olandesi. Quelli che tentano di scappare sono fatti bersaglio dell’artiglieria e dei cecchini serbi, mentre più di 20mila donne e bambini vengono fatti evacuare dalla cittadina bosniaca. I combattenti rimasti nella base olandese sono consegnati ai serbi in cambio del rilascio di 14 caschi blu ostaggio di Mladic.
L’eccidio di massa comincia poche ore dopo, nei capannoni dove erano stati concentrati i prigionieri. In tre giorni, più di 7.000 musulmani vengono trucidati dopo essere stati picchiati e torturati. Infine, vengono gettati in fosse comuni sparse nella zona del massacro, mentre gli olandesi lasciavano Srebrenica alla furia degli uomini di Mladic».
I morti di Srebrenica, secondo fonti ufficiali, sono stati 8.372. Ad oggi, sono state recuperate ed identificate oltre 6.000 salme, traslate dalle fosse comuni e sepolte nel cimitero di Potocari.
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